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  • 27 apr
  • 2015

Vantaggi e pericoli delle "escalation clauses" nell'arbitrato internazionale

1. PREMESSA

Una prassi abbastanza diffusa nella contrattualistica internazionale è quella di prevedere che le parti del contratto debbano ricercare un accordo amichevole o procedere ad una conciliazione o mediazione prima di instaurare un giudizio ordinario o arbitrale.

Queste clausole, che introducono una serie di passaggi preliminari (escalation clau­ses) rispondono ad un esigenza molto sentita da parte degli esportatori che  deside­rano – ovviamente – evitare procedure giudiziarie o arbitrali lunghe e costose.

Va però detto che la finalità, più che lodevole, perseguita dalle parti viene spesso tra­dita da clausole inadeguate che producono più danni che vantaggi.

La presente nota intende appunto esaminare più da vicino questa problematica, con riferimento al caso di scelta dell'arbitrato come mezzo di risoluzione delle contro­ver­sie, cercando di mettere in luce alcuni aspetti critici e proponendo soluzioni ade­gua­te per evitarli.

 

2. EVENTUALI PASSAGGI PRELIMINARI ALL'INSTAURAZIONE DI UNA PROCEDURA ARBITRALE

Nel redigere un contratto che preveda una clausola arbitrale per la risoluzione di future controversie, le parti possono prevedere dei passaggi preli­mi­nari, come in particolare:

·      un negoziato per una soluzione amichevole della controversia, se del caso attraverso il ricorso ad un livello superiore di management;

·      una procedura di conciliazione/mediazione affidata ad un terzo.

Vediamo separatamente queste due ipotesi.

 

3. PREVISIONE DELL'OBBLIGO DI CERCARE UNA SOLUZIONE AMICHEVOLE

Questa soluzione, molto apprezzata dagli operatori, è in realtà di scarsa utilità e può creare problemi non indifferenti.

Anzitutto, va considerato che dei contraenti responsabili valuteranno attentamente la possibilità di una soluzione transattiva della controversia insorta tra di loro, senza bisogno di una clausola contrattuale che preveda un obbligo in tal senso.

Inoltre, una clausola che preveda un espresso obbligo di procedere ad un negoziato preventivo, rischia di diventare un ostacolo alla risoluzione della controversia piut­to­sto che uno strumento per evitarla.

Infatti quando una delle parti (o ambedue) non intende negoziare seriamente, la clausola in questione rischia di rimanere senza effetto, e potrà anzi costituire uno strumento per impedire o ritardare il ricorso all'arbitrato, o per contestare in seguito il lodo arbitrale. Ed anche ove si riesca a dimostrare che la negoziazione preventiva è stata resa impossibile dalla parte recalcitrante, resta il fatto che si rischia di com­pli­care la procedura arbitrale inserendo nella stessa una questione preliminare in grado di incidere sulla durata e sui costi della stessa.

 

Forme più sofisticate di negoziazione preventiva

Se è vero che in circostanze normali non serve prevedere un obbligo di negoziazione preventiva, vi sono situazioni in cui, spostando la negoziazione della controversia ad un livello diverso della struttura societaria, si possono creare degli spazi per un ac­cordo che non sarebbe realizzabile tra i diretti interessati. In particolare, non è infre­quente il caso in cui la controversia con la controparte è frutto di contrasti personali tra i sog­getti interessati che non consentono una valutazione equilibrata della posta in gioco. In queste circostanze soggetti meno coinvolti nella vicenda potranno avere maggiori possibilità di individuare soluzioni transattive in grado di evitare di portare la controversia davanti agli arbitri o all'autorità giudiziaria.

Per questa ragione si prevede talvolta, nei contratti cui partecipano società più strut­tu­rate, che la controversia debba essere portata ad un livello superiore di mana­ge­ment (servizi centrali, capogruppo) prima di iniziare una procedura giudiziaria o arbitrale.

 

 

4. CONCILIAZIONE/MEDIAZIONE AD OPERA DI UN TERZO

Molto più interessante della soluzione precedente appare l'opzione di ricorrere a forme di conciliazione/mediazione prima della procedura arbi­trale). In particolare, le forme più evolute di ADR (Alternative Dispute Resolution) come in particolare la mediazione, costituiscono degli strumenti molto validi che permettono di giungere, con l'aiuto del terzo, ad una risoluzione amichevole della controversia.

La forma più diffusa di ADR è costituita dalla mediazione o conciliazione, «rivita­liz­zata» attraverso l'approfondimento e la messa a punto di particolari tecniche volte a facilitare il raggiungimento di una soluzione transattiva. Il mediatore non è chiamato a de­ci­dere chi ha ragione e chi ha torto, ma piuttosto a ricercare insieme alle parti so­lu­zioni che permettano di comporre la controversia. Una caratteristica della mo­der­na mediation è la piena libertà delle parti di poter rifiutare le proposte del media­tore senza subirne alcuno svantaggio nell'eventuale successiva procedura (arbitrale o giudiziaria); infatti, la totale volontarietà del­­la procedura facilita la formazione di un clima di fiducia ed apertura tra ciascuna parte ed il mediatore.

Normalmente il me­diatore al­terna riunioni congiunte con incontri separati con cia­scu­­na parte, attraverso i quali cerca di capire le rispettive esigenze ed av­vi­cinare le loro posizioni; in tale contesto, poi, si può ricorrere a tecni­che differenti: così si distingue tra una facilitative mediation (in cui il me­diatore si limita essenzialmente a facilitare la comunicazione tra le parti, aiutandole a trovare una soluzione di comune interesse) ed una evaluative mediation, in cui il mediatore esprime un giudizio sulle possibili alternative e tende quindi a guidare più attivamente le parti verso una specifica soluzione.

La mediazione differisce in modo sostanziale dall'arbitrato. Il mediatore assi­ste le parti nella ricerca di una soluzione amichevole della controversia, ma non ha il potere di decidere alcunché: le sue proposte, sempre che ne fac­cia (si noti che nel contesto della mediazione «facilitativa», che costituisce attualmente il metodo uti­liz­zato più frequentemente, il mediatore non formula alcuna proposta, limitandosi a fornire suggerimenti che andranno poi sviluppati autonomamente dalle parti), non sono vincolanti e le parti rimangono sempre libere di non rag­giun­ge­re un accordo. Al contrario, l’arbitro, ha il com­pi­to specifico di risolvere il caso attraverso una decisio­ne che vincola le parti.

 

La scelta di un mediatore competente

La mediazione, per essere efficace, dev'essere condotta da un professionista esperto, in grado di aiutare le parti a superare i motivi di conflitto portandole ad individuare delle soluzioni accettabili per entrambe.

Dal momento che non sarà di regola possibile individuare il mediatore già al mo­men­to della stipulazione del contratto, sarà necessario rivolgersi ad un'istituzione specia­liz­zata che possa nominare un mediatore competente, in grado di fornire un aiuto concreto. Trovare un professionista che sappia gestire con successo una proce­du­ra internazionale di mediazione può non essere facile, dovendosi trattare di una per­so­na che, oltre a conoscere le tecniche di mediazione, abbia la capacità di gestire i rap­por­ti tra parti di diversi paesi, superando eventuali problemi legati a differenze di lin­gua e di cultura.

La Camera di Commercio Internazionale (CCI) ha predisposto un regolamento di me­diazione, entrato in vigore il 1° gennaio 2014. Con tale regolamento è stato istituito un Centro internazionale di mediazione della CCI che amministra i pro­ce­dimenti di mediazione della CCI e che nomina il mediatore (salvo che le parti non concordino un nome, che dovrà comunque essere confermato dal Centro).

 

La redazione della clausola di mediazione

Nella redazione di una clausola di mediazione si scontrano due opposte esigenze.

Da un lato si desidera spingere le parti a considerare seriamente il ricorso alla mediazione, attraverso la previsione di un vero e proprio obbligo ad instaurare la procedura e a partecipare alla stessa.

Dall'altro, però, è necessario evitare che la previsione di una forma obbligatoria di mediazione possa favorire misure dilatorie ostacolando il passaggio alla successiva procedura arbitrale. In particolare, occorre evitare che una parte possa "sabotare" la procedura di mediazione (non partecipando o prolungandone la durata) per poi impedire l'arbitrato adducendo la mancata effettuazione della mediazione.

Un primo approccio, estremamente prudente, può essere quello di limitarsi a pre­ve­dere la possibilità di un ricorso alla mediazione, senza alcun obbligo per le parti, come la seguente clausola opzionale raccomandata dalla CCI:

Le parti possono in qualsiasi momento, senza pregiudizio per ogni altro pro­cedimento, tentare di risolvere tutte le controversie derivanti dal presente con­tratto o in relazione con lo stesso in conformità al Regolamento di media­zione della CCI.

Questa clausola, come quella leggermente più "forte" che obbliga le parti a discutere l'opportunità di ricorrere ad una procedura di mediazione, non fa sorgere alcun ob­bli­go, ma può avere un qualche peso, più che altro "psicologico", per invogliare le parti a considerare questa via.

All'altro estremo, troviamo la soluzione consistente nel prevedere in via obbligatoria la procedura di mediazione prima di iniziare l'arbitrato. Così, la clausola opzionale D raccomandata dalla CCI, prevede quanto segue:

Nel caso di controversie derivanti dal presente contratto o in relazione con lo stesso, le parti sottoporranno la controversia a un procedimento secondo il Regolamento di mediazione della CCI. Nel caso in cui la controversia non sia risolta in base a tale Regolamento entro [45] giorni dalla presentazione di una domanda di mediazione o entro il diverso periodo di tempo che le parti possono concordare per iscritto, tale controversia sarà risolta mediante arbitrato secondo il Regolamento di arbitrato della Camera di Commercio Internazionale da uno o più arbitri nominati in conformità a tale Regolamento di arbitrato.

Questa clausola prevede un vero e proprio obbligo di partecipare alla procedura di mediazione, ma evita al tempo stesso il pericolo che ciò possa incidere negativa­mente sulla possibilità di iniziare la procedura arbitrale. Infatti, decorsi i 45 giorno (o altro termine concordato tra le parti) dall'inizio della procedura di mediazione (che può essere instaurata da una delle parti soltanto) si può attivare la procedura arbitrale senza che la mancata conclusione della mediazione possa avere qualsiasi rilevanza.

Si potrebbe obiettare che questa soluzione non è abbastanza efficace in quanto la­scia la parte "recalcitrante" libera di non partecipare (seppure violando un obbligo contrattuale) o, partecipandovi, di ostacolarne il funzionamento. Va però consi­de­rato che, trattandosi di una procedura che richiede l'accordo delle parti in tutte le sue fasi non avrebbe senso richiedere alla parte che non desidera la mediazione di andare oltre la disponibilità di presenziarvi. Sarà poi semmai il compito del mediato­re convincere ambedue le parti ad aprirsi ed a considerare seriamente la possibilità di un accordo. Se però la mediazione non funziona, quale che ne sia la ragione, deve essere possibile iniziare senza indugi la procedura arbitrale e ciò viene appunto garantito dalla clausola in questione.  

 

Fabio Bortolotti