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  • 31 mar
  • 2014

Un caso interessante di recesso da un contratto di franchising esaminato dal Tribunale di Milano

Nel caso in questione (sentenza del Tribunale di Milano, sezione imprese, 11/6/2013 - C. s.a.s. e C.F. c. Vaillant Suntier Duval Italia S.p.A. e altri), gli attori erano riparatori autorizzati di caldaie Vaillant in alcune zone d’Italia per circa 30 anni.

Nell’ambito di una riorganizzazione della rete, nel 1999 gli attori (analogamente ad altri riparatori autorizzati) concludevano un nuovo contratto di franchising con Vaillant. Tale contratto prevedeva un diritto di recesso con preavviso di tre mesi. Nel 2008, gli attori iniziavano un’attività in concorrenza, in violazione del contratto di franchising; Vaillant contestava tale violazione, minacciando di risolvere il contratto con effetto immediato. Tuttavia, successivamente decideva di recedere dal contratto con gli attori, concedendo loro i tre mesi di preavviso previsti dal contratto. Gli attori citavano il franchisor chiedendo un risarcimento del danno pari ad € 1.500.000,00, sostenendo che il recesso forse contrario a buona fede (art. 1375 del codice civile); che il recesso dovesse considerarsi come abuso di dipendenza economica (ai sensi dell’art. 9 della legge 192/1998) nonché un abuso di diritto. Inoltre, gli attori sostenevano che la lettera inviata da Vaillant ai suoi clienti, al fine di informarli del recesso, avesse un contenuto dispregiativo nei loro confronti.

Vaillant, costituendosi nel giudizio, chiedeva il rigetto di tutte le domande attoree, oltre a € 1.500.000,00 di danni per avere gli attori continuato ad usare le sue insegne ed i suoi marchi dopo la fine del contratto e, quindi, per aver creato confusione presso la clientela, continuando illegittimamente a trarre vantaggio dalla reputazione di tali marchi.

Il tribunale di Milano dichiarava che – pur essendo vero, in linea di principio, che un recesso con soli tre mesi di preavviso da un contratto che durava da trent’anni potesse considerarsi contrario a buona fede – nel caso in esame, era stato provato in giudizio che nel corso del rapporto contrattuale gli attori stavano negoziando ed organizzandosi per aprire un centro di riparazione per un diretto concorrente del franchisor, circostanza che avrebbe giustificato una risoluzione in tronco da parte di quest’ultimo. Tuttavia Vaillant aveva deciso, ciò nonostante, di concedere agli attori i tre mesi di preavviso contrattuali, agendo così - ad avviso del tribunale - in buona fede. Inoltre, la Corte affermava che era stata data prova nel processo del fatto che, durante il periodo di preavviso, gli attori avessero avuto modo di negoziare e concludere nuovi contratti con altri produttori di caldaie e che, inoltre, avessero tratto vantaggio del loro trentennale rapporto contrattuale con Vaillant per promuoversi presso nuovi potenziali clienti.

Alla luce di quanto sopra, il tribunale di Milano rigettava tutte le domande dei franchisee. Al contrario, la Corte affermava che la circostanza (provata in giudizio) che, dopo la fine del contratto, gli attori avessero continuato ad utilizzare i marchi e le insegne Vaillant nei loro negozi, sulle loro auto ecc. doveva considerarsi come un uso illegittimo del marchio (oltre a costituire una violazione contrattuale): inducendo i clienti a pensare di essere ancora membri della rete del franchisor, essi  avevano infatti continuato ad avvantaggiarsi illegittimamente della reputazione del marchio Vaillant.

Tuttavia, considerando le particolari modalità dell’abuso oltre al fatto che tale uso illecito era durato solo per un breve periodo (meno di tre mesi), il tribunale condannava gli attori a risarcire a Vaillant una somma pari a soli €10.000,00.