Commento alla recente sentenza della Cassazione a Sezioni Unite in tema di applicabilità delle norme previste per la mediazione anche ai procacciatori d’affari
Avv. Arianna Ruggieri
Redattore
Con sentenza n. 19161 del 2 agosto 2017 le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno chiarito il contrasto giurisprudenziale sorto in merito all’applicabilità o meno delle norme previste per la mediazione tipica (ossia la legge 39/1989 e, più di recente, il d.lgs. 59/2010) anche alle ipotesi di mediazione atipica e quindi anche alla fattispecie del procacciatore d’affari.
Prima di soffermarsi sulle questioni di diritto alla base della decisione, è bene riepilogare brevemente i fatti di causa all’origine della controversia.
Il caso
La titolare di uno studio tecnico citava in giudizio la società in favore della quale affermava di aver svolto attività di intermediazione per ottenere il pagamento della relativa provvigione. La società convenuta contestava la ricostruzione dei fatti proposta dall’attrice ed eccepiva la nullità della pattuizione sulla provvigione, non essendo parte attrice iscritta nell’elenco dei mediatori. In primo grado il Giudice adito, il Tribunale di Verona, condannava la società convenuta al pagamento di una somma di denaro in favore dell’attrice, ritenendo quindi inapplicabile al caso di specie la disciplina della nullità delle pattuizioni sulla provvigione se stipulate da un mediatore non iscritto all’albo, in quanto parte attrice era una semplice procacciatrice d’affari. La sentenza veniva impugnata dalla società soccombente e la Corte d’Appello di Venezia la riformava, poiché riteneva che per aver diritto alla provvigione la creditrice avrebbe dovuto dimostrare di essere iscritta all’albo dei mediatori professionali, condizione ritenuta essenziale ai fini dell’esistenza del diritto alla provvigione. La titolare dello studio tecnico ricorreva allora in Cassazione. La seconda sezione civile investita del ricorso, in considerazione del contrasto giurisprudenziale sorto sul tema, con ordinanza n. 22558 del 4 novembre 2015 ha devoluto la questione alle Sezioni Unite.
Il contrasto giurisprudenziale
Sulla questione se il procacciatore d’affari, quale mediatore atipico, abbia diritto alla provvigione in difetto di iscrizione al ruolo dei mediatori, nella giurisprudenza della Corte di legittimità si sono sviluppati due orientamenti divergenti.
Alcuni precedenti, mettendo in evidenza la profonda differenza tra la mediazione tipica (in cui il mediatore assume una posizione di assoluta terzietà ed imparzialità rispetto alle parti che mette in relazione) e la mediazione atipica (nella quale invece il procacciatore è legato da un rapporto di collaborazione con la parte/preponente nell’interesse della quale agisce), hanno escluso l’applicabilità della disciplina sulla mediazione tipica (legge 39/1989 e, più di recente, il d.lgs. 59/2010) a quella atipica. Ed hanno escluso, quindi, che la previsione contenuta nell’art. 6 della legge del 1989, che subordina il diritto del mediatore a percepire la provvigione all’obbligo di iscrizione al relativo albo (oggi, sostituito dalle iscrizioni previste dall’art. 73 del d.lgs. 59/2010, c.d. “Decreto Bersani bis”), sia applicabile anche alla figura del procacciatore d’affari (in tal senso cfr. Cass. 16.12.2005, n. 27729; Cass. 25.01.2005, n. 1441; Cass. 24.02.2009, n. 4422; Cass. 19.08.2011, n. 17398).
Altre decisioni invece, pur riconoscendo la differenza di cui sopra, hanno dato rilievo al nucleo comune alle due figure, rappresentato dalla interposizione tra più soggetti al fine di metterli in contatto per la conclusione di un affare e, in considerazione di ciò, hanno ritenuto che anche l’ipotesi della mediazione atipica (o del procacciatore d’affari) rientra nell’ambito di applicabilità della disciplina prevista per la mediazione (cfr. 05.09.2006, n. 19066; Cass. 08.07.2010, n. 16147).
I due orientamenti sopra citati tendono a soddisfare esigenze diverse: il primo, più aderente al dato normativo, mira a garantire comunque un compenso ad un’attività che di fatto è stata svolta, quanto meno a beneficio del preponente; il secondo è invece volto a combattere la piaga dell’abusivismo di persone moralmente e professionalmente inidonee, privandole di eventuali guadagni.
La soluzione adottata dalle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite con la sentenza in commento, nel comporre il contrasto giurisprudenziale, hanno ritenuto di aderire al secondo dei due orientamenti.
A giudizio della Suprema Corte, infatti, con la previsione della riserva di svolgimento dell’attività di mediazione (tipica o atipica che sia) soltanto a soggetti in possesso di determinati requisiti di idoneità (garantiti appunto dall’osservanza di certe formalità: iscrizione al ruolo prima e dichiarazione di inizio attività nonché iscrizione nel registro delle imprese o nel REA dal 2010) e la conseguente assenza di tutela per il mediatore “non iscritto”, il Legislatore ha voluto espressamente tutelare l’interesse ad un ordinato e corretto sviluppo di un’attività, quella di intermediazione appunto, che è ormai di centrale importanza negli scambi commerciali e che rappresenta in concreto uno dei maggiori strumenti per concludere affari.
A ciò va aggiunto inoltre che, in sede di legittimità, si assiste al progressivo stabilizzarsi dell’indirizzo che nega al mediatore non iscritto nei ruoli (e quindi anche al procacciatore d’affari) l’azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c., sulla base della natura sanzionatoria della previsione di cui all’art. 8 della legge 39/1989.
E così, la Suprema Corte ha espresso il seguente principio di diritto: “è configurabile, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale atipica, fondata su un contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche ad una soltanto delle parti interessate (c.d. mediazione unilaterale). Tale ipotesi ricorre nel caso in cui una parte, volendo concludere un singolo affare, incarichi altri di svolgere un'attività intesa alla ricerca di una persona interessata alla relativa conclusione del medesimo affare a determinate, prestabilite condizioni, e proprio per il suo estrinsecarsi in attività di intermediazione, rientra nell'ambito di applicabilità dell'art. 2, comma 4, della l. n. 39 del 1989, che disciplina anche ipotesi atipiche di mediazione per il caso in cui oggetto dell'affare siano beni immobili o aziende. Ove oggetto dell'affare siano altre tipologie di beni - e segnatamente beni mobili - l'obbligo di iscrizione sussiste solo per chi svolga la detta attività in modo non occasionale bensì professionale o continuativo. Ove ricorra tale ipotesi, anche per l'esercizio di questa attività è richiesta l'iscrizione nell'albo degli agenti di affari in mediazione di cui al menzionato art. 2 della citata l. n. 39 del 1989 (ora, a seguito dell'abrogazione del ruolo dei mediatori, la dichiarazione di inizio di attività alla Camera di commercio, ai sensi dell'art. 73 del d.lgs. n. 59 del 2010), ragion per cui il suo svolgimento in difetto di tale condizione esclude, ai sensi dell’art. 6 della stessa legge, il diritto alla provvigione”.
In buona sostanza, con la sentenza in esame le Sezioni Unite hanno chiarito che, eccezion fatta per il caso del procacciatore d’affari che opera stabilmente con un determinato preponente (che ovviamente risulta assimilabile al rapporto di agenzia, con conseguente inoperatività dell’art. 6 della legge n. 39 del 1989), il contratto di procacciamento d’affari configura una mediazione atipica e, poiché tale fattispecie rientra nell’ambito della figura più generale della mediazione ordinaria, è soggetto alle disposizioni previste dalla relativa normativa sulla necessità di iscrizione (prima: nell’apposito ruolo ex legge n. 39 del 1989, oggi: nel registro delle imprese o nel REA ex art. 73 del d.lgs. 59 del 2010); ciò non solo per il caso in cui oggetto dell’affare siano beni immobili o aziende, bensì anche quando l’affare riguardi beni mobili, a condizione però – in tal caso - che l’attività di intermediazione sia svolta in modo continuativo o professionale (e, quindi, non occasionale).
In conclusione
A seguito del principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite della Corte di legittimità, assume estrema importanza la natura dell’incarico svolto dall’intermediario, in quanto a seconda del carattere “professionale” o “meramente occasionale” con cui viene svolta l’attività di intermediazione da parte del procacciatore, quest’ultimo sarà tenuto all’iscrizione nei relativi registri (o meno) per vedersi riconosciuto il pagamento delle provvigioni. Non va tralasciato inoltre il fatto che, in caso di mancata iscrizione, l’intermediario (ritenuto professionale) che abbia contribuito alla conclusione di un affare non percepirà alcun compenso, poiché non potrà nemmeno esercitar l’azione di arricchimento senza causa. E’ consigliabile quindi che tali aspetti siano regolati e determinati in maniera chiara e inequivoca all’interno di un testo contrattuale.
Avv. Arianna Ruggieri