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  • 4 giu
  • 2014

Quando un cliente affezionato diventa distributore

La sentenza Corman-Collins della Corte di Giustizia Europea

Premessa

Una situazione molto frequente nella distribuzione internazionale è quella in cui l’esportatore inizia a vendere su un mercato estero ad un determinato soggetto che si trasforma gradual­men­te da semplice acquirente-rivenditore ad un vero e proprio concessionario di vendi­ta/di­stributore, responsabile della distribuzione dei prodotti del concedente nel territorio di sua competenza.

Ora, nella maggioranza dei paesi (europei e non) si tende a qualificare il contratto con il distri­bu­tore (contratto denominato nei modi più vari nelle varie lingue: ad es., in italiano e francese, concessione di vendita/concession de vente, in tedesco Vertragshändlervertrag) come distinto da un semplice rapporto continuativo di compravendita.

Questo contratto verrà infatti normalmente inquadrato come contratto di durata che non può essere risolto senza riconoscere un congruo preavviso al distributore. Sovente la legge (o la giurisprudenza) riconoscerà al distributore un’indennità di clientela alla fine del contratto. Inoltre, ai fini della determinazione della competenza giurisdizionale in ambito europeo, il con­tratto verrà qualificato come contratto per la prestazione di servizi e non come compravendita, aspetto, quest’ultimo, che ha costituito l’occasione per la sentenza che si commenta.

Il caso oggetto della sentenza

Nel caso di specie una società francese, “la Maison du Whisky”, aveva intrattenuto per circa 10 anni delle relazioni commerciali con la società belga Corman-Collins, che acquistava dalla prima varie marche di whisky che rivendeva poi sul mercato del Belgio.

Durante questo periodo la Corman-Collins usava la denominazione “Maison du Whisky Bel­gi­que” e un sito Internet denominato www.whisky.be., senza alcuna contestazione da parte della società francese.

Nel dicembre 2010 la Maison du Whisky informava Corman-Collins che avrebbe affidato la distribuzione di due marche di whisky ad un’altra società e le chiedeva di non utilizzare più la denominazione  “Maison du Whisky Belgique”. Corman-Collins iniziava una causa davanti al tribunale di Verviers sulla base della legge belga del 1961 per farsi riconoscere le indennità spettanti ai concessionari sulla base di tale normativa.

La società francese, però, contestava la competenza del giudice belga, invocando l’art. 2 del regolamento europeo 44/2001 in materia di giurisdizione e riconoscimento delle sentenze, secondo cui è competente in linea di principio il foro del con­venuto.

A questo punto, la questione principale che si poneva (sulla quale il tribunale chiedeva alla Corte di Giustizia di pronunciarsi in via interpretativa) era di vedere se il contratto in questione dovesse qualificarsi come semplice compravendita o come un contratto di prestazione di ser­vizi. Infatti, se si qualifica il rapporto come concessione di vendita e cioè come contratto con cui l’acquirente assume il ruolo di “distributore” dei prodotti del concedente, e quindi presta un servizio, il concessionario può adire, in base all’art. 5.1(b), secondo trattino, il giudice del luogo in cui viene prestato il servizio; se invece, lo si inquadra come rapporto avente per oggetto una serie di compravendite occorre far capo al luogo di consegna della merce (che, nel caso di specie era presso il venditore).

La posizione assunta dalla Corte

La Corte ha risposto a tale domanda affermando al punto 36 che può essere qualificato come com­pra­vendita un “... rapporto commerciale durevole tra due operatori economici, qualora tale rapporto si limiti ad accordi successivi, ciascuno avente ad oggetto la consegna e il ritiro di merce”, mentre va qualificato come concessione di vendita “ ... un accordo quadro avente ad oggetto un obbligo di fornitura e di approvvigionamento concluso per il futuro da due ope­ra­tori economici, che contiene clausole contrattuali specifiche relative alla distribuzione da parte del concessionario della merce venduta dal concedente”.

In altri termini, se il rapporto si limita alla fornitura dei prodotti, anche attraverso un rapporto continuativo di lunga durata, siamo nell’ambito della compravendita; se invece il rivenditore assume specifici obblighi relativi alla distribuzione dei prodotti, possiamo considerarlo un rapporto di concessione di vendita.

Quanto ai criteri per individuare questi “specifici obblighi”, la Corte resta nel vago, affermando (al punto 41) che “un contratto di concessione contenente gli obblighi tipici indicati ai punti 27 e 28 della presente sentenza può essere qualificato come un contratto di prestazione di servizi”. Tuttavia, nei punti richiamati la Corte si limita a menzionare le “ ... clausole specifiche relative alla distribuzione da parte del concessionario della merce venduta dal concedente”, senza fornire ulteriori spiegazioni su quali siano gli obblighi tipici di un concessionario.

Possiamo quindi concludere che, secondo la Corte, un rapporto di fornitura continuativo con un acquirente-rivenditore va qualificato come contratto di concessione di vendita o di distribu­zio­ne quando le parti prevedono una disciplina dell’attività di rivendita del concessionario, il quale assume l’ob­bligo di “distribuire” i prodotti del concedente conformemente alle aspetta­tive e/o prescrizioni di quest’ultimo.

La portata concreta della sentenza Corman-Collins per gli operatori

In seguito alla sentenza in esame i soggetti che agiscono in veste di importatori/rivenditori hanno un argomento per pretendere di essere qualificati come distributori/concessionari di ven­dita e quindi vantare una serie di diritti che non spetterebbero ad un semplice compratore abituale.

Ciò vale anzitutto per l’individuazione del giudice competente in caso di controversia, almeno in ambito europeo (e cioè nei paesi dell’Unione Europea ed in quelli a cui si applica la Conven­zio­ne di Lugano).

Consideriamo l’ipotesi più frequente e cioè quella in cui le parti hanno stipulato nel corso degli anni una serie di contratti di compravendita e concordato verbalmente (o attraverso scambi di corrispondenza) una serie di attività del rivenditore riguardanti la distribuzione dei prodotti (promozione, pubblicità, assistenza tecnica), se del caso garantendo al rivenditore un’esclusiva (anche solo di fatto). In assenza di una clausola scritta di deroga del foro a favore del venditore (si tenga presente che la clausola eventualmente contenuta nelle condizioni generali di vendita del fornitore riguarda le singole vendite, non il rapporto di distribuzione), l’acquirente potrà portare il venditore davanti ai propri giudici.

Ciò può comportare un evidente svantaggio per il venditore/concedente che dovrà difendersi davanti ad un tribunale straniero.

Ma non solo. Se le parti non scelgono la legge applicabile al contratto “quadro” di concessione, questa dovrà essere determinata in base al regolamento Roma I sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Regolamento 593/2008). Ora l’art. 4(1)(f) di tale regolamento sta­bilisce che, in assenza di scelta ad opera delle parti, il contratto di distribuzione è discipli­na­to dalla legge del paese nel quale il distributore ha la residenza abituale.

Ora, in molti paesi il concessionario gode di una protezione assai maggiore di quella (quasi nulla) garantitagli dalla legge italiana. Così, lasciando da parte il Belgio, che prevede una tutela specifica, altri paesi (ad es. Germania, Spagna, Paesi Bassi), estendono in certi casi ai conces­sionari il diritto all’indennità previsto per gli agenti.

In tali condizioni è molto più conveniente per l’esportatore italiano stipulare con il proprio ri­ven­ditore straniero un vero e proprio contratto di concessione di vendita (distributorship contract) che precisi la legge applicabile (di regola quella italiana), il foro competente (possi­bil­mente in Italia), le modalità di scioglimento del contratto (preavviso, possibilità di risoluzione in tronco in caso di inadempimento) oltre a tutte le altre clausole tipiche normalmente pre­vi­ste per tale contratto.

 

Fabio Bortolotti