Dubbi sulla validità delle clausole arbitrali nei contratti di agenzia commerciale
Prof. Avv. Fabio Bortolotti, Avv. Silvia Bortolotti
Redattore
Nella sua sentenza n 27.072/16 del 28 dicembre 2016, la Suprema Corte ha affrontato la questione della validità di una clausola compromissoria contenuta in un “buying agency agreement”, tra un acquirente degli Stati Uniti ed un agente all’acquisto italiano. La sentenza contiene alcune affermazioni a dir poco sorprendenti, che conviene evidenziare e contestare in quanto rischiano di stravolgere i rapporti tra arbitrato internazionale e norme inderogabili.
L'accordo in questione, concluso nel 1998 tra un acquirente degli Stati Uniti ed un agente italiano, redatto sulla base di un modello di contratto americano, prevedeva che eventuali controversie dovessero essere decise mediante arbitrato, secondo il regolamento della American Arbitration Association, in conformità con la legge di New York.
Il preponente americano risolveva il contratto nel 2002 e l'agente italiano poco dopo iniziava una causa davanti al tribunale di Firenze, chiedendo l’indennità di clientela ai sensi dell'articolo 1751 c.c. ed altri danni. Il preponente si opponeva e chiedeva al tribunale di dichiararsi carente di giurisdizione e di rinviare le parti all’arbitrato.
Dopo varie vicissitudini processuali, la controversia tornava nel 2014 (dopo più di 10 anni) davanti al tribunale di Firenze il quale decideva che la clausola compromissoria in favore dell’American Arbitration Association doveva considerarsi valida ed efficace, dal momento che il “buying agency agreement” non poteva essere qualificato come contratto di agenzia, che avrebbe invece comportato la nullità della clausola compromissoria. In altri termini, il tribunale di Firenze presupponeva (a torto) che, se l'accordo fosse stato considerato un contratto di agenzia, la clausola compromissoria sarebbe stata nulla ed il tribunale di Firenze avrebbe avuto giurisdizione; ma poiché questo non era il caso, la clausola compromissoria era valida ed efficace e la controversia doveva essere sottoposta ad arbitrato, in conformità con tale clausola.
La sentenza veniva confermata dalla Corte d'Appello di Firenze nel 2015 e, successivamente, l'agente proponeva ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione sostenendo: (1) che il “buying agency agreement” dovesse essere qualificato come contratto di agenzia e, di conseguenza; (2) che la clausola compromissoria dovesse essere dichiarata nulla in virtù della norma secondo cui nelle controversie in materia di diritti indisponibili (come il diritto dell'agente all’indennità di clientela) la giurisdizione italiana non può essere convenzionalmente derogata a favore di un giudice straniero o di un arbitrato estero.
La prima questione: la natura del “buying agency agreement”
Per quanto riguarda la prima questione, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione del tribunale di Firenze, affermando che l'accordo fosse da considerarsi un contratto atipico con elementi del mandato, dell’appalto e del contratto d'opera, che non poteva essere qualificato come contratto di agenzia, in considerazione delle seguenti circostanze: (i) l'attività più ampia svolta dal buying agent; (ii) il potere di rappresentanza che gli veniva attribuito; e (iii) la remunerazione che era di gran lunga superiore alla provvigione normalmente riconosciuta agli agenti di commercio, e che comprendeva anche un compenso minimo fisso garantito.
In particolare, per quanto riguardava la più ampia attività svolta dal buying agent, la Corte di Cassazione riportava espressamente il seguente elenco di obblighi previsti dall'articolo 2 del contratto: «informare il buyer circa i prezzi e le fonti di approvvigionamento della merce disponibile; informare il buyer relativamente agli aspetti di modellistica e marketing; visitare saltuariamente le fiere di settore e svolgere ricerche di mercato per conto del buyer; richiedere offerte per la vendita al buyer di merce nuova; prestare assistenza al buyer o ai suoi rappresentanti in occasione di visite ai vari produttori; agire quale interprete per i rappresentanti del buyer; prestare assistenza e consiglio al buyer in occasione della preparazione e negoziazione dei contratti di acquisto; commissionare ordini e/o acquistare per conto del buyer merce dai fornitori esportatori; comunicare per iscritto a tutti i venditori che il buyer è il soggetto per il quale la merce viene acquistata; notificare al buyer il nome e l’indirizzo di ciascun fornitore; monitorare tutti gli ordini fatti per la merce; supervisionare e gestire il programma di controllo della qualità elaborato congiuntamente dal buyer e dal buying agent al fine di garantire l’esatta esecuzione delle spedizioni della merce verso altri Paesi; supervisionare le spedizioni; provvedere per conto del buyer alla spedizione della merce; assistere il buyer in occasione di ogni reclamo nei confronti dei venditori; far ottenere al buyer la documentazione completa per le esportazioni e le importazione della merce, fare ispezioni senza preavviso nei locali dei produttori al fine di verificare il rispetto delle politiche del buyer».
Dopo aver considerato anche i due ulteriori aspetti valutati dal tribunale (ossia, il potere di rappresentanza attribuito all'agente e la remunerazione, che consisteva in un importo annuo fisso di 500.000,00 US $ - successivamente aumentato a 700.000,00 $ - oltre ad un corrispettivo parametrato all’ammontare degli affari conclusi), la Suprema Corte ha confermato che l’accordo dovesse essere qualificato come un contratto atipico, non soggetto alle norme sul contratto di agenzia.
La seconda questione: la validità della clausola arbitrale
Per quanto riguarda la seconda questione, la Cassazione ha confermato la decisione del tribunale di Firenze sostenendo che, poiché la norma imperativa sull’indennità prevista dall'articolo 1751 c.c. per gli agenti di commercio non si applicava al caso in esame - in quanto il “buying agency agreement” non è un contratto di agenzia - la clausola arbitrale prevista nel contratto era valida ed efficace ed il caso doveva essere sottoposto ad arbitrato.
Ora, se la prima questione - secondo cui “buying agency agreement” non dev’essere considerato come un vero e proprio contratto di agenzia - è discutibile (in realtà il ragionamento seguito dal tribunale di Firenze e dalla Corte di Cassazione non appare molto convincente), la conclusione che la clausola compromissoria sia valida ed efficace, perché l'accordo non è un contratto di agenzia, è del tutto inaccettabile.
In effetti, l'assunto, secondo cui, se il “buying agency agreement” fosse qualificabile come contratto di agenzia, la clausola compromissoria ivi contenuta sarebbe nulla, si basa su un ragionamento che non può essere condiviso.
La Suprema Corte fonda il suo ragionamento sull'articolo 4(2) della legge 218/1995 che dispone: “La giurisdizione italiana può essere convenzionalmente derogata a favore di un giudice straniero o di un arbitrato estero se la deroga è provata per iscritto e la causa verte su diritti disponibili”. In altre parole, le controversie relative a "diritti indisponibili" non possono essere devolute ad arbitrato estero o a tribunali stranieri.
Tuttavia la Cassazione fa un passaggio ulteriore, ritenendo che il diritto dell'agente all’indennità di clientela previsto dall'articolo 1751 c.c. debba essere considerato come un "diritto indisponibile" per il carattere inderogabile della norma che lo prevede. Ora, questo ragionamento, che ribadisce quanto già affermato dalla Suprema Corte in una “sfortunata” sentenza del 1999 (Cass. n. 369 del 30 giugno 1999, Air Malta c. Soc. Scopelliti Travel) è chiaramente errato, perché non si può estendere semplicisticamente la nozione di "diritti indisponibili" a tutti i diritti protetti da norme imperative.
In realtà, la nozione di "diritti indisponibili" dev'essere limitata ad una categoria molto ristretta di diritti stabiliti non solo nell'interesse della persona interessata, ma anche a protezione di un interesse pubblico (ad esempio, i diritti della personalità, diritto al nome, diritti di famiglia; diritti dei lavoratori, ecc.), che non sono liberamente disponibili (ad esempio, mediante trasferimento o rinuncia).
La teoria secondo cui tutti i diritti tutelati da norme imperative sarebbero "indisponibili" avrebbe come conseguenza che la maggior parte dei contratti commerciali non sarebbero assoggettabili ad arbitrato, conclusione ovviamente inaccettabile, e contraddetta dalla realtà dei fatti. Pertanto, la posizione assunta dalla Cassazione in questa sentenza è chiaramente inaccettabile (almeno nei termini in cui essa espressa) e non può essere condivisa.
La legge applicabile
Infine, la Suprema Corte ha concluso la sua sentenza con una serie di affermazioni non necessarie (ed in parte errate) sulla legge applicabile, dirette a dimostrare che, se il “buying agency agreement” fosse stato qualificabile come contratto di agenzia, la scelta della legge di New York come legge applicabile non sarebbe stata valida e la legge italiana si sarebbe dovuta applicare nonostante tale scelta di legge operata dalle parti.
Così la Corte di Cassazione ha richiamato in particolare:
- L'articolo 3(3) della Convenzione di Roma del 1980 che prevede che, quando un contratto puramente interno è sottoposto ad una legge straniera, le norme imperative del paese delle parti devono essere applicate. Tuttavia, questa norma è ovviamente inapplicabile a un contratto tra le parti di due paesi diversi.
- L'articolo 7(2) della Convenzione di Roma sulle norme di applicazione necessaria che devono essere applicate dai tribunali dello Stato che le ha emanate. Tuttavia, la Corte non ha affrontato il problema se l'articolo 1751 c.c. debba essere considerato come una norma di applicazione necessaria ai sensi dell'articolo 7(2) ("una norma che dev’essere applicata indipendentemente dalla legge applicabile al contratto").
- Articolo V(2) della Convenzione di New York del 1958 sull’arbitrato internazionale che esclude il riconoscimento di lodi arbitrali in relazione a questioni che non sono arbitrabili. Ma, anche qui, la Corte non ha spiegato il motivo per cui la questione relativa all’indennità di cui all’articolo 1751 c.c. dovrebbe essere considerata "non arbitrabile" ai sensi della Convenzione di New York, avendo semplicemente affermato trattarsi di una norma inderogabile.
Conclusioni
Auspichiamo che la sentenza n 27.072/16 della Corte di Cassazione venga considerata come un "incidente di percorso" e le affermazioni sui rapporti tra arbitrato e norme inderogabili come un mero obiter dictum, non rilevante per il futuro.
Del resto, il cuore della questione nel caso deciso dalla Corte era se il “buying agency agreement” fosse qualificabile come contratto di agenzia, o meno. Una volta deciso che non lo era, la questione se la clausola arbitrale sarebbe stata valida nel caso in cui si fosse trattato di un vero e proprio contratto agenzia diventava un problema secondario. Questo spiega probabilmente perché la Corte non ha prestato sufficiente attenzione a questo aspetto, che non aveva alcuna reale importanza per la soluzione del caso: infatti, una volta deciso che il “buying agency agreement” non era qualificabile come contratto di agenzia, la questione è stata risolta senza la necessità di domandarsi cosa sarebbe successo nel caso opposto.
I rapporti tra l’arbitrato e le norme imperative volte a proteggere parti più deboli
Se consideriamo in termini più generali la situazione che ha dato origine al caso deciso dalla Corte di Cassazione, possiamo renderci conto dei motivi su cui si basava la pretesa dell'agente italiano di far decidere la questione dell'indennità dai propri giudici, nonostante la clausola arbitrale. Infatti, ove si fosse qualificato l'art. 1751 c.c. come di norma di applicazione necessaria (com’è probabile, anche in considerazione della sentenza della Corte di Giustizia nel caso Ingmar), un tribunale italiano sarebbe stato obbligato a riconoscergli l'indennità di clientela, qualunque fosse stata la legge applicabile scelta dalle parti; ora, assoggettando eventuali controversie ad arbitri all'estero (che avrebbero applicato una legge che non prevede alcuna indennità di clientela), l'agente avrebbe perso la possibilità di far valere il suo diritto. Ci si può quindi in teoria domandare se il ricorso alla deroga alla giurisdizione per aggirare una norma di applicazione necessaria possa giustificare la decisione del giudice davanti a cui viene invocata la norma di applicazione necessaria di affermare la propria giurisdizione, nonostante la clausola arbitrale o di scelta del foro.
La risposta a questa domanda è controversa. Ci sono giudici tedeschi che hanno invalidato clausole di giurisdizione che avrebbe escluso l'applicazione della norma sull’indennità degli agenti (si veda ad esempio, OLG Stuttgart, 29 dicembre 2011 e Bundesgerichtshof, 5 settembre 2012). Sulla stessa linea, la Corte di Cassazione belga ha affermato, in una sentenza del 3 novembre 2011, la nullità di una clausola compromissoria soggetta alla legge del Quebec in una controversia con un agente belga, perché avrebbe impedito l'applicazione delle disposizioni imperative della belga legge. La conclusione opposta è stata raggiunta dalla Corte di Cassazione italiana (sentenza del 20 febbraio 2007, n. 3841, JP Morgan c. Poste Italiane), che ha ritenuto che l'esistenza di norme internazionalmente inderogabili - "norme di applicazione necessaria" secondo la terminologia italiana - che escludono l'applicazione della legge straniera scelta dalle parti, non pregiudica invece la validità della clausola di giurisdizione in favore di un tribunale straniero), nonché dalla Corte di Cassazione francese, nel caso Monster Cable del 22 ottobre 2008.
Possiamo quindi concludere che, pur essendo chiaramente inaccettabile la teoria che dichiara non arbitrabili i diritti tutelati da norme imperative, è oggetto di discussione la questione della validità di clausole di deroga della giurisdizione, volte ad impedire l'applicazione di norme internazionalmente inderogabili che proteggono una delle parti.
Questo importante tema sarà trattato più in dettaglio in uno dei workshops della Conferenza annuale di IDI 2017, che si terrà a Parigi il 9-10 giugno 2017.
Fabio Bortolotti Silvia Bortolotti