Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.

Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la Cookies Policy.

Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

 
  • 23 apr
  • 2014

Affitti in nero

La Corte Costituzionale con la Sentenza n. 50 depositata il 14 marzo 2014 ha dichiarato: «l’illegittimità costituzionale dell’articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale) ».

Le disposizioni censurate consentivano al conduttore di registrare il contratto al posto del locatore in caso: di mancato rispetto di detto obbligo da parte del proprietario stesso ovvero di registrazione con indicazione di un importo inferiore ovvero di registrazione un rapporto di comodato fittizio. A fronte della registrazione effettuata dall'inquilino la legge riconosceva il diritto di avere un canone annuo pari al triplo della rendita catastale rivalutata (in sostanza un abbattimento del canone del 70-80% circa), a prescindere da qualunque accordo fosse stato preso nel contratto in nero. Inoltre il contratto, qualunque fosse stata la sua durata originaria, si sarebbe automaticamente trasformato in un contratto con durata di quattro anni più quattro.

Il giudizio è stato instaurato a seguito della rimessione innanzi alla Corte proposta dal Tribunale di Salerno (r.o. n. 206 del 2012), dal Tribunale di Palermo (r.o. n. 49 del 2013), dal Tribunale di Firenze (r.o. n. 78 del 2013), dal Tribunale di Genova (r.o. n. 169 del 2013), dal Tribunale di Roma (r.o. n. 225 del 2013). Le ragioni di censura proposte dai citati giudici erano motivate con riferimento a svariati profili; in particolare: per contrasto con gli artt. 70 e 76 Cost. in quanto disciplina emessa in violazione della delega parlamentare, per violazione degli artt. 3, 41, 42 e 53 Cost. in quanto le sanzioni previste dalla normativa oggetto di censura risulterebbero ingiustificatamente penalizzanti per il locatore con la sostituzione del canone convenzionale con altro determinato ex lege in misura irrisoria e premiali, invece, per il conduttore anche a motivo della durata, infine sul rilievo che la disciplina in esame creerebbe un’irragionevole disparità di trattamento tra locazioni ad uso abitativo ed altri tipi di locazione, si porrebbe in contrasto con i principi di autonomia negoziale e con il disposto dell’art. 1419 c.c., in base al quale il contratto parzialmente nullo è fatto salvo solo ove risulti che le parti lo avrebbero ugualmente concluso.

L’Avvocatura Generale dello Stato ha difeso la disciplina rimarcando come «con le previsioni oggetto di censura, il legislatore – adottando la politica del conflitto di interessi tra le parti, cosicché l’interesse all’evasione dell’una sia compensato dall’opposto interesse dell’altra – ha inteso premiare il conduttore in modo tale da indurre il locatore ad effettuare tempestivamente la registrazione del contratto e a non mantenere il rapporto “al nero”. Si tratterebbe, dunque, di un meccanismo particolarmente severo, ma che adempie alle sue funzioni…. La disciplina in esame sarebbe efficace, funzionale agli interessi del fisco, e non irragionevole».

La Consulta ha ritenuto fondata la questione  in riferimento al parametro di cui all’art. 76 Cost., sotto il profilo del difetto di delega.

Riprendendo a riguardo i principi più volte chiariti, la Sentenza ha ribadito come l’esercizio, da parte del legislatore delegato, «di poteri innovativi della normazione vigente, non strettamente necessari in rapporto alla finalità di ricomposizione sistematica perseguita», debba ritenersi circoscritto entro limiti rigorosi e che nel caso di specie «la disciplina oggetto di censura – sotto numerosi profili “rivoluzionaria” sul piano del sistema civilistico vigente – si presenti del tutto priva di “copertura” da parte della legge di delegazione: in riferimento sia al relativo àmbito oggettivo, sia alla sua riconducibilità agli stessi obiettivi perseguiti dalla delega».

Giova, infine, rimarcare il richiamo effettuato dalla Corte allo Statuto dei diritti del contribuente (legge 27 luglio 2000, n. 212) in quanto la citata legge di delegazione espressamente prescrive all’art. 2, comma 2, lettera c), di procedere all’esercizio della delega nel «rispetto dei principi» in esso sanciti.

Osserva la Consulta che lo «Statuto … prevede, all’art. 10, comma 3, ultimo periodo, che “Le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto”: con l’ovvia conseguenza che, tanto più, la mera inosservanza del termine per la registrazione di un contratto di locazione non può legittimare (come sarebbe nella specie) addirittura una novazione – per factum principis – quanto a canone e a durata».

 

Avv. Gabriella Simonis