Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.

Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la Cookies Policy.

Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

 
  • 15 dic
  • 2017

La sentenza Coty sui sistemi di distribuzione selettiva e il divieto di vendere tramite piattaforme internet

 

Il 6 dicembre 2017 la Corte di Giustizia europea ha infine emesso la decisione sul famoso "caso Coty" (causa C-230/16 - Coty Germany GmbH contro Parfümerie Akzente GmbH), che è oggetto di discussione da un certo periodo ed è stata discussa anche durante la Conferenza IDI 2017.

Questa sentenza costituisce un passo importante verso un chiarimento circa la compatibilità degli accordi di distribuzione selettiva con le norme UE sulla concorrenza, con particolare riferimento ai prodotti di lusso venduti tramite internet.

In particolare, la Corte ha respinto la posizione espressa da numerosi tribunali nazionali e autorità antitrust secondo cui la sentenza Pierre Fabre del 13 ottobre 2011 avrebbe affermato, in termini generali, che l'obiettivo di mantenere un'immagine di lusso dei prodotti non giustifica le restrizioni della concorrenza derivanti da una rete di distribuzione selettiva.

 

1. FATTI

La causa riguardava una controversia tra Coty Germany GmbH (in seguito "Coty"), uno dei principali fornitori di cosmetici di lusso in Germania, e la Parfümerie Akzente GmbH (in seguito "Parfümerie Akzente"), un rivenditore autorizzato di tali prodotti, che faceva parte della rete di distribuzione selettiva Coty, in Germania.

Parfümerie Akzente ha distribuito per molti anni i prodotti Coty, in qualità di distributore autorizzato, sia presso i suoi punti vendita fisici che su internet. Le vendite via internet sono state effettuate in parte attraverso il proprio negozio online e in parte tramite la piattaforma "amazon.de".

In base al contratto di distribuzione selettiva di Coty, l'uso di un tale tipo di sistema distributivo è giustificato dall'immagine di lusso del marchio Coty: "il carattere dei marchi di Coty Prestige esige una distribuzione selettiva destinata a preservare la loro immagine di lusso". Di conseguenza, l'ammissione alla rete è soggetta ad espressa autorizzazione di Coty e al rispetto di standard specifici fissati dal produttore.

Tra le parti è sorto un contenzioso in merito al rifiuto da parte della Parfümerie Akzente di accettare una modifica delle condizioni contrattuali proposte da Coty, che vieta di servirsi in maniera riconoscibile, per le vendite a mezzo internet, di imprese terze, come ad esempio "amazon.de".

La questione della legittimità di tale clausola è stata sottoposta alla Corte regionale di Francoforte sul Meno, in Germania, che ha deciso: (a) che l'obiettivo di mantenere un'immagine prestigiosa del marchio, in conformità a quanto stabilito nella sentenza del 13 ottobre 2011, Pierre Fabre Dermo-Cosmétique, non potesse giustificare l'introduzione di un sistema di distribuzione selettiva che, per definizione, limita la concorrenza; e (b) che la suddetta clausola costituiva anche una restrizione fondamentale ai sensi dell'articolo 4, lettera c), del regolamento 330/2010.

Coty ha appellato la sentenza dinanzi al Tribunale superiore del Land, Francoforte sul Meno, Germania, che ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

1)      Se i sistemi di distribuzione selettiva, che hanno come oggetto la distribuzione di beni di lusso e servono principalmente a garantire una "immagine di lusso" per i prodotti costituiscono un aspetto della concorrenza compatibile con l'articolo 101, paragrafo 1, del TFUE.

2)      In caso di risposta affermativa alla prima questione: [s]e costituisca un elemento di concorrenza compatibile con l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE il divieto generale imposto ai membri di un sistema di distribuzione selettiva operanti nel commercio al dettaglio di servirsi, in maniera riconoscibile, per le vendite a mezzo internet, di imprese terze senza che rilevi, nel caso specifico, il mancato soddisfacimento dei legittimi requisiti di qualità posti dal produttore.

3)      Se l’articolo 4, lettera b), del regolamento n. 330/2010 debba essere interpretato nel senso che un divieto imposto ai membri di un sistema di distribuzione selettiva operanti nel commercio al dettaglio di servirsi, in maniera riconoscibile, per le vendite a mezzo internet, di imprese terze costituisca una restrizione per oggetto della clientela del distributore al dettaglio.

4)      Se l’articolo 4, lettera c), del regolamento n. 330/2010 debba essere interpretato nel senso che un divieto imposto ai membri di un sistema di distribuzione selettiva operanti nel commercio al dettaglio di servirsi, in maniera riconoscibile, per le vendite a mezzo internet, di imprese terze costituisca una restrizione per oggetto delle vendite passive agli utenti finali».

 

2. LA DECISIONE DELLA CORTE

 

2.1       Prima domanda

L'avvocato generale Wahl, nelle sue conclusioni, ha chiaramente spiegato la ragione principale da cui è scaturita la prima domanda.

In particolare, la frase contenuta nel punto 46 della decisione Pierre Fabre (secondo cui: «[l]’obiettivo di preservare l’immagine di prestigio non può rappresentare un obiettivo legittimo per restringere la concorrenza e non può quindi giustificare che una clausola contrattuale diretta ad un simile obiettivo non ricada nell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE») era stato interpretato da alcuni tribunali nazionali ed autorità antitrust (tra cui anche il tribunale regionale di Francoforte sul Meno, Germania, che ha deciso in prima istanza sul caso Coty in Germania) come un’affermazione, in termini generali, secondo cui gli accordi selettivi per prodotti di lusso ricadono sotto il divieto di cui all'articolo 101, paragrafo 1, del TFUE.

L'avvocato generale ha insistito sull'importanza di chiarire che tale interpretazione non può essere accettata, dal momento che implicherebbe un completo rovesciamento della giurisprudenza tradizionale sviluppata a partire dai vecchi "casi Metro", senza una vera ragione per derogare rispetto a tale orientamento ed anche in contrasto con la giurisprudenza elaborata dalla Corte di Giustizia nel contesto del diritto dei marchi.

Nella sua decisione, la Corte europea conferma tale posizione spiegando che nella causa Pierre Fabre la Corte non si riferiva ai beni di lusso, ma a "prodotti cosmetici e per l'igiene del corpo" e si è limitata ad affermare che la necessità di preservare l'immagine di prestigio di tali beni non fosse sufficiente a giustificare un divieto assoluto di vendita di tali prodotti su internet.

Per contro, la Corte conferma come non si possa dedurre che il paragrafo 46 di tale sentenza fosse volto a rendere un’affermazione di principio, secondo cui la tutela dell’immagine di lusso non è più idonea a giustificare una restrizione della concorrenza, quale quella derivante dall’esistenza di una rete di distribuzione selettiva, per tutti i prodotti, tra cui in particolare i prodotti di lusso.

Pertanto, rispondendo alla prima domanda, la Corte ha riconfermato la giurisprudenza precedente (principalmente la sentenza Metro SB-Groβmärkte c. Commissione, causa 26/76; la sentenza L'Oréal, causa 31/80 e la sentenza Pierre Fabre Dermo-Cosmétique, causa 439/09), affermando che un sistema di distribuzione selettiva non è vietato dall'articolo 101, paragrafo 1, del TFUE, nella misura in cui:

- i rivenditori siano scelti sulla base di criteri oggettivi di natura qualitativa, stabiliti uniformemente per tutti i potenziali rivenditori ed applicati in modo non discriminatorio;

- le caratteristiche del prodotto in questione necessitino di tale rete per preservarne la qualità e garantirne il corretto utilizzo; e, infine,

- i criteri non vadano al di là di quanto necessario.

 

2.2       Seconda domanda

Al fine di rispondere alla seconda domanda, la Corte ha valutato la conformità della clausola contestata (ossia "l'obbligo imposto ai distributori autorizzati di vendere su internet i prodotti oggetto del contratto solo attraverso i propri negozi online ed il divieto per detti distributori di fare uso di un'altra denominazione commerciale, nonché di servirsi in modo riconoscibile di piattaforme di terzi") con le condizioni di cui sopra ed è giunto alla conclusione che:

(i) dai documenti presentati alla Corte, la clausola risulta essere oggettiva e uniforme e applicata senza discriminazioni a tutti i distributori autorizzati;

(ii) per quanto riguarda il secondo requisito, la Corte ha principalmente considerato che le vendite tramite piattaforme di terzi non possono garantire il mantenimento delle stesse "condizioni di qualità" stabilite dal produttore; inoltre, l'assenza di un rapporto contrattuale tra il fornitore e le piattaforme di terzi significa di fatto che il fornitore non può esigere il rispetto dei requisiti qualitativi che ha imposto ai suoi distributori autorizzati; infine, tale divieto è appropriato per preservare l'immagine di lusso di tali beni;

(iii) la clausola non va al di là di quanto necessario, poiché i distributori autorizzati sono autorizzati a vendere i prodotti contrattuali online sia tramite i propri siti web, purché abbiano una vetrina elettronica del negozio autorizzato e l’immagine di lusso dei beni sia preservata, e tramite piattaforme di terzi non autorizzati, quando l'utilizzo di tali piattaforme non sia riconoscibile dal consumatore.

La Corte ha pertanto concluso che l'articolo 101, paragrafo 1, TFUE dev’essere interpretato nel senso che lo stesso non osta a una clausola contrattuale, come quella di cui al procedimento principale, che vieta ai distributori autorizzati di un sistema di distribuzione selettiva di prodotti di lusso finalizzato, primariamente, a salvaguardare l’immagine di lusso di tali prodotti, di servirsi in maniera riconoscibile di piattaforme di terzi per la vendita a mezzo internet dei prodotti oggetto del contratto, qualora tale clausola sia diretta a salvaguardare l’immagine di lusso di detti prodotti, sia stabilita indistintamente e applicata in modo non discriminatorio, e sia proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito, circostanze che spetta al giudice del rinvio verificare.

 

2.3       Terza e quarta domanda

Le due ultime domande riguardano la questione se il divieto di vendere su internet tramite imprese terze, imposto ai membri di un sistema di distribuzione selettiva di beni di lusso, costituisca una restrizione fondamentale ai sensi del regolamento 330/2010, che escluderebbe il beneficio dell’esenzione per categoria per gli accordi contenenti tale clausola.

Infatti, secondo la posizione espressa dalla Corte regionale di Francoforte, tale divieto implicherebbe una restrizione della clientela, alla quale il distributore può vendere e una restrizione delle vendite passive, considerate come restrizioni fondamentali ai sensi degli articoli 4, lettera b) e 4, lettera c) del regolamento.

La Corte chiaramente respinge questa tesi, affermando che il divieto imposto ai membri di un sistema di distribuzione selettiva di beni di lusso, che operano in qualità di distributori nel commercio al dettaglio, di servirsi, in maniera riconoscibile, di imprese terze per la vendita a mezzo internet, non costituisce una restrizione della clientela, ai sensi dell'articolo 4, lettera b), di tale regolamento, né una restrizione delle vendite passive agli utenti finali, ai sensi dell'articolo 4, lettera c), del Regolamento 330/2010.

La Corte giunge a tale conclusione, rilevando che la clausola controversa, diversamente dalla clausola di cui si trattava nella causa Pierre Fabre, non vieta l'uso di internet come mezzo di commercializzazione dei prodotti contrattuali; inoltre, non sembra possibile circoscrivere, all'interno del gruppo degli acquirenti online, i clienti delle piattaforme di terzi; e infine, risulta che i distributori autorizzati siano, a determinate condizioni, lasciati liberi di fare pubblicità via internet su piattaforme di terzi e di usare motori di ricerca online, con il risultato che i clienti sono solitamente in grado di trovare l'offerta online dei distributori autorizzati usando tali motori di ricerca.

 

3. CONCLUSIONI

Nella risposta alla prima questione, la Corte di Giustizia chiarisce che i sistemi di distribuzione selettiva per i beni di lusso destinati, principalmente, a preservare l'immagine di lusso di tali prodotti sono conformi all'articolo 101, paragrafo 1, TFUE, nella misura in cui le condizioni stabilite nella sentenza Metro (selezione basata su criteri oggettivi di natura qualitativa, determinati uniformemente e applicati in modo non discriminatorio, che non va oltre il necessario) siano soddisfatte. 

Tale affermazione, necessaria per superare il conflitto interpretativo del paragrafo 46 della precedente sentenza Pierre Fabre, non può naturalmente essere interpretata nel senso che solo i beni di lusso possano giustificare la conformità all'articolo 101, paragrafo 1, del TFUE. Infatti, il problema apparentemente sollevato in Pierre Fabre era se i prodotti di lusso potessero beneficiare dell'esenzione dal divieto di cui all'articolo 101, paragrafo 1, nella giurisprudenza successiva alla sentenza Metro. In altre parole, si trattava di stabilire se il principio secondo cui "il mantenimento di un commercio specializzato in grado di fornire servizi specifici in materia di prodotti di alta qualità e di alta tecnologia" può giustificare la distribuzione selettiva - così come stabilito nella causa AEG Telefunken (sentenza della Corte di Giustizia, AEG - Telefunken, del 25/10/1983, par. 33) - dovesse applicarsi anche ai beni di lusso. 

Dando una risposta positiva a questa domanda, la Corte ha confermato la sua giurisprudenza precedente, secondo cui tutti i sistemi di distribuzione selettiva, nella misura in cui mirano al conseguimento di un obiettivo legittimo in grado di migliorare la concorrenza in relazione a fattori diversi dal prezzo, costituiscono un elemento importante di concorrenza che è conforme all'articolo 85, paragrafo 1 (ora 101 TFUE).

In secondo luogo, la sentenza Coty della Corte di Giustizia chiarisce che un divieto di vendere su internet attraverso piattaforme che sono riconoscibili per non essere rivenditori autorizzati non ricade nel divieto dell'articolo 101 (TFUE) e non implica una violazione degli articoli 4, lettere b) e c) del regolamento 330/2010.

Pertanto, un sistema di distribuzione selettiva per la distribuzione di beni di lusso che contenga una clausola del genere, che sia conforme alle condizioni stabilite nella sentenza Metro (selezione basata su criteri oggettivi di natura qualitativa, determinati in maniera uniforme ed applicati in modo non discriminatorio che non vadano al di là di quanto necessario) non rientrerà nel divieto dell'articolo 101 (TFUE).

Se, al contrario, l'accordo di distribuzione selettiva contiene ulteriori restrizioni, ma nessuna delle restrizioni fondamentali di cui all'articolo 4 del regolamento 330/2010, l'accordo beneficerà dell'esenzione per categoria, a condizione che la soglia del 30% non venga superata. Ciò significa che, ad esempio, gli accordi che comportano una selezione quantitativa dei membri della rete o dei prodotti che non giustificano un sistema di distribuzione selettiva rientrano nel divieto dell'articolo 101 (TFUE), ma saranno esentati dal regolamento di esenzione per categoria, in virtù del principio secondo cui tutte le restrizioni diverse da quelle menzionate negli articoli 4 e 5 sono esentate.

Resta da vedere se il principio affermato dalla Corte in relazione all'articolo 101 del TFUE debba applicarsi solo ai beni di lusso o se debba estendersi ad altre situazioni in cui l'esclusione delle piattaforme di terzi sia oggettivamente giustificata. In effetti, sembra ragionevole presumere che le ragioni addotte per giustificare la legittimità di tali clausole nel contesto della distribuzione di beni di lusso, dovrebbero applicarsi anche ad altre situazioni in cui l'accesso dei distributori alle piattaforme di terzi pregiudicherebbe gli obiettivi legittimi perseguiti dal sistema di distribuzione selettiva.

Si deve inoltre considerare che il ragionamento della Corte, relativo alla presunta violazione dell'articolo 4, lettere b) e c), del regolamento 330/2010, pur menzionando espressamente il mercato dei beni di lusso, può valere anche per altre situazioni. In effetti, le considerazioni che i clienti di piattaforme di terzi non possano essere circoscritti e che il divieto di un tipo specifico di vendita su internet non costituisce una restrizione della clientela (paragrafi 66-68 della sentenza), né costituisce una restrizione delle vendite passive agli utenti finali (cfr. paragrafi 154-156 delle conclusioni dell'avvocato generale), si applicano allo stesso modo ai prodotti diversi dai beni di lusso.

In altre parole, il ragionamento della Corte si concentra in particolare sui prodotti di lusso, perché questo era l'oggetto della domanda di pronuncia pregiudiziale, ma lo stesso ragionamento può essere esteso ad altri prodotti o situazioni, in cui sussistano le stesse condizioni o condizioni equivalenti.

È quindi ragionevole concludere che il divieto di vendere tramite piattaforme di terzi, imposto ai membri di una rete di distribuzione selettiva, necessario per garantire la qualità delle condizioni di vendita (immagine del marchio, disponibilità di consulenza ai consumatori, ecc.) dovrebbe essere considerato legittimo anche rispetto ai beni non di lusso.

La sentenza Coty e il suo possibile impatto sugli accordi di distribuzione selettiva saranno inclusi nel programma della Conferenza IDI 2018, che si terrà a Firenze l'8-9 giugno 2018.

 

Prof. Avv. Fabio Bortolotti

Avv. Silvia Bortolotti