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  • 7 apr
  • 2017

Una recente sentenza della Corte di Giustizia sull’indennità degli agenti

 

I preponenti belgi possono evitare di riconoscere l’indennità ai loro agenti situati fuori dall’Unione Europea, pur prevedendo l’applicazione della legge belga nei loro contratti?

Alla luce di una recente sentenza della Corte di Giustizia (sentenza del 16 febbraio 2017, causa C-507/15, Agro Foreign Trade & Agency Ltd c. Petersine NV.), sembra che si possa rispondere positivamente, anche se da un esame più attento della normativa la risposta potrebbe non essere così scontata.

Com’è noto, la Direttiva europea 653/86 sugli agenti di commercio, recepita da tutti gli Stati membri nei loro ordinamenti nazionali (in Italia negli artt. 1742 ss. del codice civile), contiene una disciplina di protezione degli agenti che riconosce loro, tra l’altro, un’indennità di fine rapporto. Come previsto dalla stessa Direttiva 653/86 (art. 19), tale disciplina è inderogabile a sfavore dell’agente e da ciò, in linea di principio, si dovrebbe desumere che a tutti contratti di agenzia ai quali si applichi la legge di uno Stato membro sarà riconosciuta tale protezione all’agente.

La Corte di Giustizia si è spinta anche oltre, affermando nel caso Ingmar (Corte Giust., 9 novembre 2000, causa C-381/98, Ingmar GB Ltd c. Eaton Leonard Technologies Inc.) che anche qualora un contratto di agenzia sia sottoposto alla legge di un paese terzo, che non preveda la protezione della Direttiva, le norme sull’indennità (artt. 17 e 18 della Direttiva) devono trovare comunque applicazione, ove l’agente svolga la propria attività nel territorio di uno Stato membro. Ciò significa che le disposizioni sull’indennità contenute nella Direttiva non soltanto hanno un carattere inderogabile, ma sono addirittura norme di c.d. applicazione necessaria, che non possono essere derogate neppure mediante applicazione della legge di un paese terzo (nel caso di specie, il preponente statunitense aveva previsto nel contratto l’applicazione della legge della California che non prevede un diritto dell’agente all’indennità e l’agente svolgeva la sua attività nel Regno Unito).

Occorre però precisare che alcuni ordinamenti europei consentono alle parti (o, meglio, al preponente) di derogare all’applicazione delle norme sull’indennità nei contratti conclusi con agenti che svolgono la loro prestazione fuori dall’Unione Europea, ferma restando l’applicazione della legge del paese del preponente che invece prevede tale tutela. Così, ad esempio, l’art. 1.3 della legge danese sugli agenti (Act No. 272 of 2 May 1990) secondo cui:

«Where Danish law shall apply to cases where the commercial agent’s activities on behalf of the principal under the agreement shall not take place in a country which is a member of the EEC or EFTA or in one of the Nordic countries, the parties can derogate from all provisions of this Act. However, ss. 22 and 25-27 cannot be derogated from in cases where mandatory rules on termination and indemnity apply in the country where the commercial agent´s activities shall be carried out or where the commercial agent is resident.»

La legge belga di recepimento della Direttiva (legge del 13 aprile 1995), all’art. 27, prevede: «Fatta salva l’applicazione delle convenzioni internazionali stipulate dal Belgio, tutte le attività di un agente commerciale avente la sede principale in Belgio sono soggette alla legge belga e rientrano nella competenza dei giudici belgi».

La disposizione in esame, espressa in termini positivi, sembra avere lo scopo di confermare la tutela da essa prevista a tutti gli agenti con sede in Belgio (oltre alla competenza esclusiva dei giudici belgi in relazione ad eventuali controversie), ma non contiene alcuna espressa esclusione dell’applicazione di tale disciplina ad agenti con sede fuori dal territorio belga.

Ciò nonostante, nel caso che qui si commenta, il Tribunale di Gand (Belgio) ha interpretato la disposizione sopraccitata nel senso che la stessa abbia “natura autolimitativa”, ossia si applichi unicamente agli agenti aventi sede in Belgio. Sulla base di tale presupposto, il Tribunale di Gand ha sottoposto alla Corte di Giustizia la seguente questione:

«Se la legge del 1995, che recepisce nel diritto nazionale belga la direttiva 86/653, sia compatibile con tale direttiva (…), posto che tale legge prevede la sua applicazione esclusiva agli agenti commerciali aventi la sede principale in Belgio e non si applica se un preponente stabilito in Belgio e un agente stabilito in Turchia hanno operato una scelta esplicita a favore dell’applicazione della legge belga».

La questione, infatti, riguardava un contratto di agenzia concluso tra un preponente belga (società Petersine) ed un agente turco (Agro Foreign Trade), che prevedeva la sottoposizione dello stesso alla legge belga e la competenza dei tribunali di Gand (Belgio). Quando, in seguito alla risoluzione del contratto, l'agente turco faceva valere i propri diritti (indennità, preavviso, ecc.) secondo la normativa belga, il preponente obiettava che la legge del 1995 fosse applicabile solo agli agenti operanti in Belgio. Siccome l'agente eccepiva che ciò sarebbe stato contrario alla Direttiva, il tribunale di Gand rimetteva la questione della compatibilità con la Direttiva della norma che limita la propria applicazione unicamente agli agenti operanti nel territorio belga.

La Corte di Giustizia rispondeva al quesito, affermando che la Direttiva non osta ad una norma che limiti l'applicazione della normativa nazionale di recepimento ai soggetti operanti nel paese in questione. Ciò anche ribadendo come, con la sentenza Ingmar, sia stato stabilito che un agente che svolge la sua attività all’interno di uno Stato membro non possa essere privato della tutela prevista dalla Direttiva neppure in caso di scelta di una legge applicabile di un paese terzo; ma precisando che tale principio non si applica invece qualora l’agente eserciti la propria attività al di fuori dell’Unione.

Tuttavia, la Corte precisava che, secondo quanto rilevato dal governo belga, l’articolo 27 della legge del 1995 non avesse il carattere autolimitativo attribuitogli dal giudice del rinvio (con la conseguenza che tale legge si sarebbe applicata anche al caso di specie), ma che, in base alla costante giurisprudenza, la Corte di Giustizia non fosse competente a pronunciarsi sull’interpretazione della normativa interna di uno Stato membro, ma dovesse rispondere alla questione sollevata dal giudice del rinvio partendo dalle premesse che emergevano dalla decisione di rinvio.

In conclusione, la sentenza della Corte di Giustizia esprime un principio che non sembra potersi applicare alla legge belga, dal momento che quest’ultima non pare limitare l’applicazione delle norme sull’indennità ai soli agenti aventi sede in Belgio. Occorre poi considerare che, anche volendo interpretare l’art. 27 in senso “autolimitativo”, non è dato sapere quale sarebbe la disposizione applicabile al caso in esame, dal momento che le parti avevano comunque scelto l’applicazione della legge belga e non ci risulta che il diritto belga abbia delle norme applicabili agli agenti di commercio, diverse ed “alternative” rispetto alla legge del 1995.

Tale principio sembra invece legittimare disposizioni come quella danese, benché a nostro avviso, non sembri applicabile tout court neppure a tale disposizione. Infatti, l’art. 1.3 dell’Act 272/1990 non “esclude dal proprio campo di applicazione” un contratto di agenzia commerciale tra un preponente di uno Stato membro ed un agente che ha sede e svolge la sua attività in un paese terzo (non prevedendo infatti alcuna disciplina alternativa applicabile), ma si limita a consentire alle parti di derogare contrattualmente alle norme sull’indennità.

 

Silvia Bortolotti