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  • 28 mag
  • 2020

Piattaforme online nell'Unione Europea: nuove regole e impatto sui produttori e sui franchisors

1. Introduzione

La nascita delle piattaforme online è uno degli sviluppi economici e sociali più importanti degli ultimi anni.

Sebbene non esista una definizione chiara e generalmente condivisa di “piattaforme online”, si ritiene comunemente che esse comprendano una vasta gamma di soggetti, quali: piattaforme di vendita online, social media, app stores, siti web di confronto dei prezzi, piattaforme per l'economia collaborativa, piattaforme per la consegna di alimenti e motori di ricerca.

Secondo la Comunicazione della Commissione Europea sulle Piattaforme Online pubblicata il 25 maggio 2016:

"Le piattaforme online hanno in comune alcune caratteristiche specifiche importanti. In particolare:

- possono creare e formare nuovi mercati, fare concorrenza a quelli tradizionali e organizzare nuove forme di partecipazione o di esercizio di attività economiche basate sulla raccolta, sul trattamento e sulla modifica di grandi quantità di dati;

- operano all'interno di mercati multilaterali, ma con gradi di controllo variabili sulle interazioni dirette tra gruppi di utenti;

- beneficiano degli "effetti di rete", in virtù dei quali, generalmente, il valore del servizio aumenta con l'aumentare degli utenti;

- spesso si basano sulle tecnologie dell'informazione e della comunicazione per raggiungere i propri utenti in modo istantaneo e con facilità;

- svolgono un ruolo chiave nella creazione di valore digitale, in particolare intercettando tale valore in modo rilevante (anche attraverso l'accumulo di dati), agevolando nuove iniziative imprenditoriali e creando nuove dipendenze strategiche"[1]

 

2. L'approccio europeo riguardo alle piattaforme online.

Nel contesto della sua strategia per il mercato unico digitale[2], la Commissione Europea ha iniziato a prevedere la necessità di regolamentare alcuni aspetti relativi alle piattaforme online, esprimendo alcune preoccupazioni:

“Sebbene l'impatto che esercitano dipenda dal tipo e dal potere di mercato di ciascuna, alcune piattaforme sono in grado di controllare l'accesso ai mercati online e di influire pesantemente sulla remunerazione dei diversi operatori del mercato. Questo stato di cose suscita preoccupazione per il potere sempre maggiore che alcune piattaforme esercitano sul mercato, non da ultimo in termini di opacità sul modo in cui usano le informazioni che acquisiscono, di forte potere contrattuale rispetto a quello dei clienti, che si riflette talvolta nel tenore delle clausole (soprattutto per le PMI), di promozione dei loro propri servizi a scapito dei concorrenti e di politiche di prezzo non trasparenti o limitazioni sui prezzi e le condizioni di vendita.”

Nella successiva Comunicazione sulle piattaforme online del 2016, la Commissione Europea ha indicato alcuni obiettivi chiave, volti a creare “Un quadro normativo equilibrato per le piattaforme online del mercato unico digitale”[3] ed, in particolare:

- creare regole armonizzate a livello UE, al fine di evitare incertezze e confusione tra gli operatori economici;

- garantire il rispetto delle norme UE esistenti in settori quali la concorrenza, la tutela dei consumatori, la protezione dei dati personali e delle libertà del mercato unico da parte delle piattaforme online (considerando la loro natura transfrontaliera), attraverso una buona cooperazione tra le autorità competenti (v. Regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori[4]);

- affrontare problemi chiaramente identificati relativi ad un tipo o a un'attività specifica di piattaforme online in qualsiasi futura misura normativa proposta a livello UE, iniziando a valutare se il quadro esistente sia ancora adeguato;

- elaborare risposte alle questioni relative alle piattaforme online, tenendo conto dei seguenti principi:

    (a) parità di condizioni per servizi digitali comparabili;

    (b) comportamento responsabile delle piattaforme online per proteggere i valori fondamentali;

    (c) trasparenza ed equità per mantenere la fiducia degli utenti e salvaguardare l'innovazione;

    (d) mercati aperti e non discriminatori in un'economia basata sui dati.

 

Tale strategia è stata attuata con diverse misure, volte a:

- garantire trasparenza nelle relazioni tra piattaforme e aziende (Regolamento (UE) 2019/1150 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online – P2B);

- garantire la trasparenza nei rapporti tra le piattaforme e gli utenti finali/consumatori (Direttiva 2019/2161, per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’Unione relative alla protezione dei consumatori);

- estendere anche alle piattaforme le regole di protezione dei consumatori (vedi ad es. Direttiva 2019/770 relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali);

- valutare le caratteristiche specifiche e la posizione delle piattaforme online nella revisione del Regolamento 330/2010 sulle restrizioni verticali.

 

3. I principali aspetti rilevanti dal punto di vista delle aziende UE e non UE che interagiscono con piattaforme online.

Dal punto di vista delle aziende che vendono i loro prodotti attraverso reti di distribuzione e franchising, le piattaforme online sono, da un lato, un'opportunità per raggiungere un maggior numero di clienti e, dall'altro, un rischio competitivo, soprattutto quando le piattaforme agiscono come intermediarie nelle vendite effettuate da terzi soggetti (c.d. “free riders”) o addirittura dai loro distributori o franchisee ai consumatori.

Tale rischio è rilevante in Europa, anche in considerazione del fatto che le norme antitrust comunitarie vietano ai produttori e ai franchisor di imporre prezzi di rivendita ai membri della loro rete di distribuzione, oltre a restrizioni territoriali e di clientela.

I produttori vorrebbero chiaramente ottenere il meglio sotto entrambi i profili, ovvero vendere il più possibile attraverso piattaforme internet, ma anche limitare il più possibile le vendite da parte di terzi (che certamente non partecipano agli investimenti fatti per lo sviluppo del loro marchio e della loro reputazione) e dei membri della loro rete distributiva, ove non siano effettuate in conformità con la loro strategia “omni-channel”.

Tuttavia, i produttori possono certamente beneficiare delle norme UE introdotte con l'obiettivo di proteggere le imprese dalle piattaforme nell'applicazione delle loro condizioni contrattuali (in particolare, il Regolamento P2B), ma – sotto il secondo profilo - devono rispettare le norme antitrust UE quando limitano il diritto dei loro franchisees e distributori di vendere attraverso le piattaforme.

 

4. Il Regolamento 2019/1150 sulla promozione dell'equità e della trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online - P2B.

 Il regolamento P2B (2019/1150) è stato adottato il 20 giugno 2019 ed entrerà in vigore il 12 luglio 2020.

La Commissione Europea sta per pubblicare le Linee Guida (previste per la fine di aprile 2020) per l'interpretazione e l'applicazione di tali regole[5].

Il regolamento 2019/1150 mira principalmente a garantire la trasparenza e la parità di trattamento all'interno del mercato europeo dei servizi di intermediazione online, disciplinando i rapporti tra i fornitori di servizi e i motori di ricerca online da un lato, e le imprese dall'altro (in particolare, con l'obiettivo di tutelare le PMI). La definizione di fornitori di servizi online è molto ampia e comprende non solo le piattaforme di vendita online, ma anche i social media, le piattaforme di consegna a domicilio, gli app store, i siti di comparazione dei prezzi, ecc.

Le disposizioni del Regolamento 2019/1150 si applicano indipendentemente dal luogo di stabilimento o di residenza del prestatore di servizi, a condizione che: (i) i servizi siano forniti o offerti agli utenti commerciali e ai titolari di siti web aziendali che hanno il loro luogo di stabilimento o di residenza nell'Unione europea e (ii) che, attraverso questi servizi, offrano beni e/o servizi ai consumatori dell'UE. Inoltre, esso si applica anche se la transazione effettiva non viene effettuata online.

Al fine di garantire parità di trattamento ed equità agli utenti commerciali, con riferimento ai termini e alle condizioni contrattuali, i fornitori devono assicurare che le condizioni generali di vendita siano redatte in un linguaggio semplice e comprensibile e che siano facilmente disponibili agli utenti commerciali in tutte le fasi del loro rapporto commerciale, e che contengano specifiche disposizioni ivi previste, a pena di nullità.

Eventuali restrizioni, sospensioni e cessazioni della fornitura dei servizi sono inoltre soggette a rigide regole procedurali e sono espressamente disciplinate anche le graduatorie sui motori di ricerca, i trattamenti differenziati, le specifiche disposizioni contrattuali da inserire nelle condizioni generali di vendita, l'accesso ai dati, ecc..

Inoltre, il fornitore deve implementare procedure adeguate e un sistema interno di gestione dei reclami, che deve garantire il rispetto dei principi di trasparenza e correttezza e deve assicurare, gratuitamente agli utenti commerciali, un ragionevole lasso di tempo per la gestione delle controversie (in relazione alla complessità delle singole questioni).                    

Infine, il Regolamento 2019/1150 impone ai fornitori di servizi di intermediazione di prevedere, nelle loro condizioni generali di vendita la possibilità di risoluzione extragiudiziale delle controversie attraverso la mediazione, specificando il numero e i requisiti dei mediatori e fornendo soluzioni dettagliate per l'allocazione dei costi procedurali, fermo restando il diritto dei fornitori e degli utenti di intraprendere azioni legali in qualsiasi momento prima, durante o dopo la mediazione.

Poiché tale Regolamento entrerà in vigore il 12 luglio 2020, non si può ancora sapere come queste norme saranno attuate e applicate dai tribunali nazionali all'interno dell'Unione Europea.

 

5. Norme sulla concorrenza.

Il Regolamento di esenzione per categoria sulle restrizioni verticali ("VBER"), che naturalmente si applica anche agli accordi di distribuzione e franchising, nella sua ultima versione (Regolamento 330/2010) è attualmente in fase di revisione, in quanto scadrà il 31 maggio 2022[6].

Come espressamente indicato nella strategia di consultazione della Commissione Europea, per la valutazione del VBER:

“Scopo della presente valutazione è raccogliere prove del funzionamento del regolamento (e dei relativi orientamenti) che serviranno alla Commissione per decidere se lasciare scadere il regolamento di esenzione per categoria per gli accordi verticali, prolungarne la durata o rivederlo, insieme agli orientamenti sulle restrizioni verticali che lo accompagnano, alla luce dei nuovi sviluppi del mercato dalla loro adozione nel 2010, in particolare la maggiore importanza delle vendite online e l'emergere di nuovi operatori di mercato come le piattaforme online.”

Nel corso della consultazione pubblica organizzata dalla Commissione Europea, sono state espresse diverse posizioni in merito alle questioni antitrust relative alle piattaforme online e alle vendite su internet da parte di tutti i rappresentanti di entrambe le parti e anche da parte dei legali che si occupano di accordi di distribuzione e franchising: ad esempio diversi studi legali, IBA, EuroFranchise Lawyers (EFL), International Distribution Institute (IDI)[7].

La necessità di introdurre norme specificamente dedicate alle piattaforme online, troppo specifiche per essere fatte semplicemente ricadere nell'ambito di applicazione delle norme esistenti sugli intermediari (agenti commerciali) e sui distributori, è stata fortemente sottolineata dalla maggior parte delle organizzazioni. Tuttavia, la posizione della Commissione Europea sul contenuto di eventuali emendamenti non è ancora disponibile.

Anche la possibilità per i produttori/franchisors di imporre restrizioni ai membri delle loro reti di distribuzione/franchising per quanto riguarda il marketing e le vendite online è attualmente discussa nel quadro della revisione del VBER, anche tenendo conto di alcune recenti decisioni della Corte di Giustizia  e della Commissione Europea, emesse con riferimento agli accordi di distribuzione selettiva[8].

 

6. Lusso - Distribuzione selettiva.

I fabbricanti di alcune tipologie di prodotti (soprattutto nei settori del lusso, dei cosmetici e dei profumi) distribuiscono i loro prodotti attraverso rivenditori multimarca, tramite accordi di distribuzione selettiva.

Più specificamente, attraverso un contratto di distribuzione selettiva, un produttore stabilisce un rapporto preferenziale con un certo numero di punti vendita al dettaglio, selezionati sulla base di quelle caratteristiche che il produttore ritiene necessarie per la vendita ottimale dei suoi prodotti. Poiché lo scopo di una rete selettiva è che i prodotti siano venduti solo nei punti vendita selezionati, la costituzione di una tale rete, per sua stessa natura, implica che i membri della rete devono impegnarsi a non vendere i prodotti a rivenditori che non appartengono alla rete di distribuzione selettiva, ma solo agli utenti finali o ad altri membri della rete.

Le norme antitrust UE sugli accordi di distribuzione selettiva si applicano anche agli accordi di franchising nella misura in cui i membri della rete si impegnano a non vendere i prodotti a rivenditori che non appartengono alla rete di franchising, ma solo agli utilizzatori finali o ad altri membri della rete.

Per quanto a nostra conoscenza, i contratti di distribuzione selettiva non sono disciplinati da norme giuridiche specifiche in nessun paese dell'UE. L'unica definizione esistente si trova attualmente nell'articolo 1.1., lettera e), del VBER, che prevede:

«per «sistema di distribuzione selettiva» si intende un sistema di distribuzione nel quale il fornitore si impegna a vendere i beni o servizi oggetto del contratto, direttamente o indirettamente, solo a distributori selezionati sulla base di criteri specificati e nel quale questi distributori si impegnano a non vendere tali beni o servizi a rivenditori non autorizzati nel territorio che il fornitore ha riservato a tale sistema».

Gli accordi di distribuzione selettiva sono stati più di frequente utilizzati nell'ultimo decennio, a causa della forte concorrenza delle vendite su internet, in quanto esse consentono al produttore di consentire solo le vendite tra i membri della rete (che devono rimanere liberi di effettuare vendite incrociate) e agli utenti finali, potendo egli invece impedire quelle dai dettaglianti/franchisee a rivenditori/distributori estranei alla rete. Inoltre, in questo contesto, il VBER e le linee guida (nelle loro versioni attuali) consentono, a determinate condizioni, di limitare le vendite dei distributori/franchisee tramite internet e piattaforme online.

Infine, in applicazione di alcuni principi stabiliti dalla Corte di Giustizia a tutela dei marchi[9], i tribunali nazionali di alcuni paesi dell'UE (in Italia, ad esempio, il Tribunale di Milano) hanno recentemente iniziato a riconoscere una tutela ai produttori contro i free riders che vendono i loro prodotti su internet (anche ove tali prodotti siano stati legalmente acquistati e non siano contraffatti), a fronte dell'esistenza di una rete di distribuzione selettiva e di circostanze che confermino il danno all'immagine e alla reputazione del produttore attraverso tali vendite (aspetto, ovviamente, che viene valutato caso per caso).

Pertanto, l'integrazione degli elementi della distribuzione selettiva anche nel sistema di vendita al dettaglio monomarca (come il franchising) sta diventando una soluzione valida, per far fronte alla concorrenza delle vendite via internet e delle piattaforme online, da adottare comunque con attenzione e nel rispetto delle norme antitrust applicabili, e tenendo anche conto dei diversi approcci seguiti dalle autorità antitrust e dai tribunali nazionali dei principali paesi dell'UE.

Sarà importante vedere se e come tutte queste questioni saranno affrontate nel nuovo testo del VBER che sarà pubblicato entro il 2022.

 

7. Conclusioni

Ormai le imprese non possono più sottovalutare l'importanza delle piattaforme internet ed il loro impatto sulle reti di distribuzione e di franchising. Se la necessità di sviluppare una strategia “omni-channel” appariva già urgente negli anni scorsi, il COVID-19 ha accelerato questo processo.

I consumatori sono infatti diventati ancor più dipendenti dalle vendite via internet e dalle consegne a domicilio rispetto al passato e tale aspetto non dev’essere sottovalutato dai titolari di reti di distribuzione e franchising  che vogliano rimanere competitivi sul mercato.

 

 

Avv. Silvia Bortolotti

 

 

[1] Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni. Le piattaforme online e il mercato unico digitale. Opportunità e sfide per l'Europa, SWD(2016) 172 final.

[2]  Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni. Strategia per il mercato unico digitale in Europa, SWD (2015) 100 final.

[3] Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni. Le piattaforme online e il mercato unico digitale. Opportunità e sfide per l'Europa, § 4.

[4] Regolamento (UE) 2006/2004.

[5] V. https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/news/ranking-transparency-guidelines-framework-eu-regulation-platform-business-relations-explainer.

[6] V. https://ec.europa.eu/competition/consultations/2018_vber/index_en.html.

[7] La posizione dell’Associazione IDI è stata anche illustrata dal suo presidente (Fabio Bortolotti), dal Secretary General (Silvia Bortolotti) e da un altro membro del board IDI (Edward Miller) in un incontro avvenuto a Bruxelles nel gennaio 2020, con i rappresentanti della Commissione Europea incaricati della revisione del Regolamento.

[8] Vedi in particolare, il caso “Coty” della Corte di Giustizia UE (Caso C-230/16 – Coty Germany GmbH v. Parfümerie Akzente GmbH of December 6, 2017) e la decisone “Guess” della Commissione Europea del 17 dicembre 2018 (Caso AT.40428).

[9] Ad esempio, i casi C-59/08 Copad/Christian Dior; Portakabin C-558/08; C-337/96 Parfumes Christian Dior/Evora.