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  • 22 nov
  • 2023

La violazione dell’esclusiva nel franchising: l’applicazione del principio di buona fede da parte delle corti italiane

1. Quadro normativo

Ai sensi dell’art. 3, co. 4, lett. c), L. 129/2004:

“(..) Il contratto deve espressamente indicare:

(c) l’ambito dell’eventuale esclusiva territoriale sia in relazione ad altri affiliati, sia in relazione a canali ed unità di vendita direttamente gestiti dall’affiliante”.

Tale disposizione (e in particolare l’espressione “eventuale”) è interpretata nel senso che la clausola di esclusiva può anche non essere prevista; tuttavia, se il diritto di esclusiva è riconosciuto al franchisee, il suo ambito di applicazione dev’essere specificato chiaramente.

 

2. Le vendite del franchisor tramite canali di vendita paralleli

Nella maggior dei casi decisi dalle corti italiane, il diritto di esclusiva è riconosciuto al franchisee in una data zona vicina al punto vendita, e che preveda: l’obbligazione del franchisor di non aprire negozi diretti, né di concludere altri contratti di franchising, per l’apertura di negozi nella zona di esclusiva del franchisee, per la durata del contratto.

La clausola “tipica” dovrebbe in principio lasciar libero il franchisor di vendere I propri prodotti a client nell’aerea tramite altri canali di distribuzione (ad es. negozi multi-marca, distribuzione moderna, vendite online, ecc.), poiché la condotta proibita pare essere limitata a quella di apertura di negozi diretti e di franchising nella zona.

In alcuni casi esaminati dai giudici, i contratti di franchising prevedono una riserva espressa del diritto in favore del franchisor di, ad esempio, “mantenere rapporti commerciali diversi dal franchising nella zona di esclusiva”; o di vendere tramite canali alternativi.

Ciononostante, i giudici italiani hanno talora ravvisato violazioni di esclusiva ed una responsabilità del franchisor, quando questi abbia venduto tramite canali alternativi in concorrenza con il franchisee, anche in assenza di una violazione dell’esclusiva.

Nella maggior parte dei casi, i giudici hanno fondato la loro decisione sulla valutazione della condotta effettiva del franchisor: il caso più comune è quello del franchisor che agisce aggressivamente in concorrenza con il franchisee sul piano dei prezzi, e cioè vende tramite altri canali a prezzi che il franchisee, considerato il suo margine, non potrebbe applicare (Trib. Isernia, 12/04/2006; Trib. Milano, 28/01/2014; Trib. Milano, 21/06/2018).

Tuttavia, riprendendo i tre esempi menzionati sopra, la valutazione finale è stata adottata sulla base di un diverso fondamento giuridico: in Trib. Isernia 12/04/2006, dove la clausola di esclusiva consentiva espressamente al franchisor di vendere tramite canali alternativi, il tribunale ha ravvisato un abuso di dipendenza economica ed una violazione del principio di buona fede; nel caso del Trib. Milano 28/01/2014, in cui c’era la “tipica” clausola di esclusiva sopra indicata, il tribunale ha affermato che la stessa non potesse essere interpretata nel senso di consentire al franchisor di competere aggressivamente con il franchisee sui prezzi (sono stati applicati i criteri generali di interpretazione del contratto); in Trib. Milano 21/06/2018, il comportamento del franchisor è stato ritenuto contrario a buona fede, e cioè la decisione è stata presa sulla base di una valutazione fattuale.

Al contrario, esistono casi in cui i giudici hanno ritenuto che la condotta del franchisor, consistente nelle vendita tramite canali alternativi, fosse (implicitamente) consentita dalla “clausola tipica” che precludeva al franchisor soltanto l’apertura di negozi diretti o rivendite in franchising, ma non anche la vendita tramite canali alternativi. Ad esempio, in Trib. Bologna 19/04/2011, il contratto prevedeva la “tipica” clausola di esclusiva e, nelle premesse, si affermava che il franchisor vendeva anche i prodotti tramite negozi multi-marca; il franchisee affermava la violazione del contratto da parte del franchisor, sostenendo che questi stesse rivendendo ad un negozio multi-marca nelle vicinanze del suo outlet; il tribunale ha valutato la condotta delle parti ed ha ritenuto che quella del franchisor non costituisse una violazione del contratto poiché lo stesso autorizzava la vendita tramite il negozio multi-marca.

Le differenze sulle conclusioni a cui giungono le decisioni delle corti in molti casi dipendono dalla valutazione fatta dai giudici della effettiva condotta delle parti, sulla base delle prove fornite nel corso del procedimento: muovendo dall’idea che le relazioni di franchising devono essere fondate su principi di solidarietà e collaborazione tra le parti, quando le corti ritengono che la condotta del franchisor ecceda i limiti della ragionevolezza (ad es., in caso di concorrenza aggressiva sui prezzi come nel caso menzionato sopra), infatti si pronunciano contro il franchisor e poi ritracciano il fondamento giuridico sul quale fondare la loro decisione (ad es., inadempimento contrattuale, violazione del principio di buona fede, abuso di dipendenza economica, reinterpretazione della clausola di esclusiva in conformità con il principio di buona fede, ecc.).

 

3. Violazione dell’esclusiva tra affiliati

Un altro aspetto interessante esaminato dalla giurisprudenza italiana concerne la responsabilità degli affiliati in ipotesi di possibile violazione dell’esclusiva tra di loro, così come la responsabilità “indiretta” del franchisor per la violazione dell’esclusiva tra i propri affiliati.

Ad esempio, è controversa l’efficacia di clausole che prevedano il pagamento di una penale tra affiliati appartenenti alla stessa rete nel caso di violazione: il Tribunale di Brescia, in una recente sentenza, (Trib. Brescia 04/04/2020) ha negato l’effettività di una simile clausola nelle relazioni tra gli affiliati, discostandosi da una precedente sentenza della Corte di cassazione (Corte di cassazione n. 1992 del 08/04/1981), dove è stato ritenuto che il principio del contratto a favore di terzo (art. 1411 c.c.) fosse applicabile ad una simile clausola contenuta in un contratto ci concessione di vendita. Nel caso di specie, invece, il Tribunale di Brescia ha ritenuto che l’accordo tra il franchisor ed i propri affiliati che prevedeva l’obbligo di esclusiva e il pagamento di una penale in caso di violazione, non potesse essere applicato a soggetti che non erano parti dello specifico rapporto contrattuale, ossia che il patto in questione non potesse essere considerato come un accordo tra il franchisor ed il franchisee (che viola l’obbligo) in favore di un terzo (il franchisee la cui esclusiva è violata).

Al contrario, la responsabilità dei franchisor è stata in alcuni casi riconosciuta in ipotesi di violazioni di zona tra i suoi affiliati, in applicazione del principio di buona fede, specialmente nei casi in cui il franchisor sia a conoscenza della violazione e non adotti misure sufficienti per evitarla (v., ad es., Trib. Milano 02/04/2019; Trib. Milano 06/12/2018). Un recente caso riguardava una società franchisee partecipata da alcuni amministratori del franchisor ed un concorrente: la Corte d’appello di Milano ha ritenuto il franchisor responsabile della violazione dell’esclusiva e della clausola di divieto di concorrenza così come del principio di buona fede e ha dichiarato il franchisor responsabile della risoluzione contrattuale (App. Milano, 27/07/2023).

Infine, in alcuni casi, la responsabilità del franchisor è stata anche ravvisata in caso di violazione dell’esclusiva tra affiliati di reti parallele dello stesso franchisor (Trib. Milano 17/01/2019, e Trib. Milano 01/10/2018, confermata da App. Milano 04/11/2019). Segnatamente, nei casi menzionati sopra, il Tribunale di Milano ha esteso l’applicazione della clausola di esclusiva prevista nel contratto di franchising tra un franchisor ed un franchisee concernente una specifica rete di franchising, al fine di contestare una condotta concorrente dei franchisee appartenenti alla diversa – parallela – rete di franchising dello stesso gruppo societario del franchisor.

Queste decisioni si riferiscono alle reti di franchising immobiliare, dove lo stesso franchisor aveva reti parallele di franchising con due diversi marchi, ma di fatto rivolgendosi agli stessi clienti, con interessi, settore, immagine, gestione, servizi, know-how, manuale e liste clienti comuni. Va altresì detto che in quei casi la clausola di esclusiva rilevante era abbastanza “ampia” (ad es. “Il Franchisor assicura/garantisce al Franchisee l’esclusivo sfruttamento del franchising nell’area territoriale concordata”).

Nelle tre decisioni menzionate sopra i giudici italiani hanno concluso che i franchisor fossero responsabili per violazione del principio di buona fede e per l’indiretta violazione dell’esclusiva, affermando che la condotta illecita fosse contraria allo spirito di cooperazione che deve caratterizzare i rapporti franchisor/franchisee.

Un’opposta decisione è stata adottata da Trib. Milan 14/01/2019, in un caso (sempre nel settore immobiliare) dove un nuovo outlet della rete parallela del franchisor era stata aperta nella zona di esclusiva garantita al franchisee. Tuttavia, in quel caso, il franchisee sapeva, quando era entrato a far parte della rete, dell’esistenza della rete parallela dello stesso franchisor nella stessa zona; inoltre, al franchisee era stato inizialmente chiesto di aprire un nuovo outlet, questi si era rifiutato ma poi aveva accettato (per iscritto) la nuova apertura da parte di un altro franchisee. Pertanto, il tribunale ha ritenuto che non vi fossero sufficienti prove per estendere la clausola alla rete parallela e che invece vi fosse prova certa che il franchisee avesse accettato la nuova apertura e ha concluso che il franchisor non fosse responsabile.

 

 

Avv. Silvia Bortolotti