Il recupero crediti all’estero: quali soluzioni adottare
Avv. Arianna Ruggieri
Redattore
Un problema che si presenta, purtroppo, frequentemente agli esportatori è quello di riuscire a recuperare crediti nei confronti di controparti estere.
Nell’ambito dei contratti di compravendita internazionale, infatti, capita spesso che il venditore italiano di merci non riesca ad ottenere il pagamento del prezzo pattuito per le merci vendute.
Al fine di evitare o quantomeno mitigare tale rischio, è opportuno conoscere non solo quali sono gli strumenti da mettere in atto per recuperare il proprio credito, una volta che è sorto il problema (il mancato pagamento), ma anche quali sono gli accorgimenti e le soluzioni da adottare in fase contrattuale (prima che sorga il problema), al fine appunto di evitarlo o mitigarlo.
Le azioni preventive
Quando ci si accinge a concludere un nuovo contratto di compravendita con il proprio cliente (soprattutto se straniero), è consigliabile adottare alcune cautele.
Innanzitutto, è estremamente importante assumere il maggior numero di informazioni possibili sul proprio partner commerciale (visura della società, stato di solvibilità del cliente e del paese in cui quest’ultimo ha sede, ecc.). In proposito, possono altresì essere adottate opportune cautele nella stipula dei contratti con i propri intermediari (ad esempio, agenti e/o procacciatori d’affari), onde sensibilizzare costoro circa l’importanza di raccogliere ordini solo da clienti che siano “solvibili”, inserendo ad esempio nei contratti con i propri intermediari clausole che impongano di promuovere gli affari solamente con clienti affidabili e imponendo in capo ai propri intermediari l’onere di accertarsi circa la solvibilità dei clienti che proporranno al preponente, evitando quindi di promuovere affari con clienti che sanno essere “cattivi pagatori”, prevedendo l’obbligo di assistere il preponente nel recupero dei crediti, ecc.
Altro aspetto rilevante è sicuramente quello relativo alle condizioni di pagamento. In linea di massima, la soluzione preferibile per il venditore è quella di pattuire nel contratto il pagamento anticipato della merce o quantomeno il pagamento anticipato di una somma che possa coprire il valore delle materie prime e della manodopera, che dovranno essere utilizzate per la produzione delle merci oggetto di compravendita. Quando ciò non è possibile, sarà allora altamente consigliabile (soprattutto laddove il proprio partner commerciale sia extra-UE) prevedere il pagamento mediante crediti documentari (es. lettera di credito) oppure valide garanzie bancarie a tutela del pagamento del prezzo da parte del compratore.
In aggiunta e/o in alternativa rispetto a quanto sopra, è altresì consigliabile prevedere forme di assicurazione del proprio credito con la propria compagnia di assicurazioni.
Un’altra soluzione da valutare con cautela (a seconda delle circostanze e delle effettive esigenze del venditore) è la possibilità di inserire nel contratto la clausola di riserva di proprietà. Tale clausola ha la funzione di consentire al venditore di mantenere il diritto di proprietà sui beni (anche se già consegnati all’acquirente) fino all’integrale pagamento del prezzo da parte dell’acquirente. Ciò, in linea di principio, consentirebbe al venditore di pretendere la restituzione dei beni, in caso di inadempimento (mancato pagamento del prezzo) da parte dell’acquirente. Tuttavia, la situazione potrebbe complicarsi e rendere vana l’efficacia della clausola, nell’ipotesi in cui i beni oggetto di compravendita vengano ceduti dal compratore ad un terzo. Va tenuto presente infatti che, per essere opponibile ai terzi, la clausola deve soddisfare certi requisiti formali (forma scritta, data certa, ecc.) e comunque, in linea di massima, in molti ordinamenti (come ad esempio in Italia), anche ove la clausola di riserva di proprietà soddisfi i requisiti prescritti dalla legge, non sarà opponibile nei confronti del terzo che abbia acquistato i beni in buona fede.
Un altro aspetto dirimente da valutare a priori, cioè in fase di negoziazione del contratto, sebbene poi spieghi i suoi effetti in un momento successivo, laddove si renda necessario intervenire a posteriori per recuperare il proprio credito, è quello relativo alla clausola di giurisdizione. Si tratta della clausola volta a disciplinare quale sarà il soggetto (giudice nazionale o arbitro) al quale dovrà essere devoluta la controversia eventualmente insorta tra le parti e che quindi dovrà pronunciare la relativa decisione. E’ una scelta estremamente importante e da valutare con attenzione, per compiere la quale è importante conoscere il sistema di riconoscimento delle sentenze straniere. In proposito, va detto che nell’ambito dei rapporti tra i paesi UE e tra i paesi UE con i paesi c.d. EFTA (ossia: Danimarca, Svizzera, Islanda e Norvegia) non sorgono particolari problemi, poiché sia in base a quanto previsto dal Regolamento 1215/2012 del 12 dicembre 2012, in ambito UE, che ai sensi della Convenzione di Lugano del 30 ottobre 2007, in vigore tra UE e i paesi EFTA, la circolazione ed il riconoscimento delle sentenze straniere tra gli stati membri è piuttosto agevole. Infatti, l’eventuale sentenza italiana ottenuta dal venditore che condanna il proprio compratore (che ha sede in un paese UE o EFTA) al pagamento del prezzo della merce potrà essere facilmente riconosciuta e portata ad esecuzione nel paese della controparte. Per tale ragione, con controparti UE o appartenenti ai paesi EFTA è consigliabile prevedere che la giurisdizione per la risoluzione delle controversie relative al contratto di compravendita sia devoluta al giudice italiano, indicando nella clausola il giudice del luogo in cui ha sede la propria azienda. In tal modo, sarà più agevole per il venditore adire l’autorità italiana ed ottenere un provvedimento di condanna al pagamento dell’importo dovuto nei confronti del proprio acquirente (e ciò potrà avvenire in tempi rapidi, ove vi siano i presupposti per agire a mezzo di procedimento per decreto ingiuntivo), e sarà altresì semplice ottenere il riconoscimento e l’esecuzione di tale decisione nel paese della controparte. Il discorso cambia ed è più complicato, invece, quando il partner commerciale appartiene ad uno stato extra-UE e al difuori dell’EFTA (immaginiamo, ad esempio, un contratto concluso con un compratore coreano o tailandese). In tal caso, infatti, salvo che tra l’Italia e il paese in questione esistano convenzioni bilaterali sulla giurisdizione ed il riconoscimento reciproco delle sentenze, sarà molto difficile ottenere il riconoscimento di un’eventuale sentenza italiana nel paese della controparte; tale sentenza quindi rischierebbe di rimanere priva di efficacia. Pertanto, in ipotesi del genere (e a maggior ragione se si tratta di contratti di valore importante) può essere invece opportuna la scelta dell’arbitrato, ossia di devolvere la decisione della controversia ad arbitri. Ciò in quanto, in base alla Convenzione di New York del 1958 sul riconoscimento e l’esecuzione dei lodi stranieri, che è stata ratificata - oltre che dall’Italia - da numerosissimi stati al mondo, sarà più semplice ottenere il riconoscimento del lodo arbitrale nel paese della controparte (previa ovviamente verifica della ratifica della Convenzione da parte del paese in questione). Si ribadisce quindi l’importanza di prevedere clausole di deroga del foro che tengano conto anche di questi aspetti. E’ importante altresì essere ben consapevoli di cosa accade nell’ipotesi in cui le parti non prevedano nulla riguardo alla risoluzione delle controversie. In tal caso infatti, il foro competente (che dovrà essere necessariamente un giudice nazionale) sarà determinato alla luce delle norme di diritto internazionale privato del giudice adito, correndo il rischio che sia individuato come competente il giudice del paese della controparte, con tutto ciò che ne consegue.
Gli interventi a posteriori
Quando si devono recuperare delle somme dal proprio acquirente, per il mancato pagamento del prezzo della merce, occorrerà agire giudizialmente, al fine di ottenere un titolo (decisione) da eseguire nei suoi confronti.
Sulla base di quanto detto sopra, nell’ipotesi in cui l’acquirente abbia sede all’interno dell’UE o in uno dei paesi EFTA, o comunque sia proprietario di beni utilmente aggredibili in Italia o a sua volta vanti crediti nei confronti di soggetti italiani, ed il contratto contenga una clausola di proroga della giurisdizione in favore del giudice italiano del luogo in cui ha sede la propria azienda (o comunque, quest’ultimo risulti competente, in base alle norme diritto internazionale privato), il venditore italiano, in caso di mancato pagamento del prezzo da parte del compratore, potrà agevolmente adire in giudizio quest’ultimo innanzi al giudice italiano, costringendo la controparte, se lo riterrà, a venire a difendersi in Italia, a dover nominare un difensore italiano, a dover svolgere le proprie difese in una lingua diversa dalla sua, ecc.. E, una volta ottenuta la sentenza di condanna nei confronti del compratore al pagamento di quanto dovuto, potrà agevolmente riconoscerla nel paese della controparte e procedere esecutivamente nei suoi confronti, grazie al Regolamento UE 1215/2012 o alla Convenzione di Lugano del 2007, a seconda dei casi. In proposito, una volta ottenuto il titolo, sarà importante disporre di una vasta rete di corrispondenti locali nei paesi in questione, in modo da poter dare effettiva esecuzione alla decisione ottenuta.
Viceversa, nell’ipotesi in cui il compratore sia extra-UE e al di fuori dei paesi EFTA, non sempre la soluzione migliore è quella di prevedere che la risoluzione delle controversie sia devoluta alla giurisdizione italiana (a meno che la controparte sia proprietaria di beni in Italia o a sua volta vanti crediti nei confronti di soggetti italiani). Ciò in quanto, come detto sopra, l’eventuale sentenza di condanna della controparte pronunciata dal Giudice italiano potrebbe non essere riconosciuta nel paese della controparte e, dunque, non produrre alcun effetto. In tal caso, laddove sia stata predisposta opportuna clausola arbitrale nel contratto, il venditore - rimasto impagato - potrà ricorre all’arbitrato per dirimere la controversia ed ottenere un lodo di condanna nei confronti dell’acquirente, che potrà essere agevolmente eseguito in tutti i paesi che hanno ratificato la Convenzione di New York del 1958 di cui si è detto sopra.
Può essere utile, infine, segnalare alcuni specifici strumenti che possono essere utilizzati quando il compratore (divenuto debitore) ha la propria sede d’affari all’interno della UE.
Decreto ingiuntivo in Italia ai sensi degli artt. 633 e ss. del codice di procedura civile
Si tratta dello strumento maggiormente utilizzato in ambito di recupero crediti. Consente al creditore di ottenere nei confronti del suo debitore un’ingiunzione di condanna al pagamento dell’importo dovuto, senza l’instaurazione di un contraddittorio tra le parti. In buona sostanza, il creditore agisce in giudizio depositando un ricorso nel quale indica i fatti, unitamente alle ragioni del suo credito e, se da prova del fatto che si tratta di un credito certo (di cui fornisca prova scritta, anche a mezzo della produzione delle fatture di vendita), liquido (ossia, una somma determinata nel suo ammontare) ed esigibile (per il quale è già sorto il suo diritto a pretenderne il pagamento), il giudice pronuncerà decreto di condanna al pagamento della somma richiesta. E solo successivamente, nel termine di 40, 50 o 60 giorni dalla notifica del provvedimento, a seconda del paese di residenza dell’ingiunto, costui potrà proporre opposizione avverso il decreto, precisandone in maniera dettagliata le ragioni, instaurando un vero e proprio giudizio ordinario di cognizione. In mancanza di opposizione invece, il decreto ingiuntivo emesso diverrà definitivo ed il creditore potrà procedere ad esecuzione forzata nei confronti del debitore/ingiunto.
Inoltre, al ricorrere di alcune circostanze, ad esempio nell’ipotesi in cui il credito sia fondato su cambiale, assegno o atto ricevuto da notaio o da altro pubblico ufficiale, oppure se il ricorrente produce documentazione sottoscritta dal debitore comprovante il diritto fatto valere (c.d. riconoscimento di debito, anche se contenuto ad esempio in uno scambio di email), il giudice ingiunge di pagare senza dilazione, autorizzando in mancanza l’esecuzione provvisoria del decreto. Ciò significa che il creditore potrà portare ad esecuzione il decreto ingiuntivo in Italia, senza dover attendere l’esito dell’eventuale opposizione sollevata dal debitore/ingiunto. Tuttavia, ciò non è possibile in un altro paese UE, poiché per eseguire il decreto ingiuntivo in uno degli altri paesi membri è necessario che lo stesso sia divenuto definitivamente esecutivo, non essendo sufficiente la provvisoria esecutività.
Procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento (Regolamento CE 1896/2006 del 12 dicembre 2006)
Le condizioni affinché il giudice pronunci l’ingiunzione di pagamento europea sono analoghe a quelle previste dalla procedura italiana: deve trattarsi di un credito liquido ed esigibile. La domanda può essere proposta utilizzando un apposito modulo standard e non è obbligatoria l’assistenza di un avvocato. Anche in questo caso, l’ingiunzione viene pronunciata senza che sia instaurato il contraddittorio con il debitore. Costui, nel termine di 30 giorni dalla notifica del provvedimento, potrà presentare opposizione all’ingiunzione, utilizzando un apposito modulo standard, senza essere tenuto tuttavia ad indicare le ragioni della sua opposizione nell’atto introduttivo (cosa che invece è tenuto a specificare nell’opposizione al decreto ingiuntivo italiano). Il procedimento proseguirà poi secondo il rito ordinario dinanzi al giudice dello stato membro d’origine, a meno che il creditore/ricorrente non abbia esplicitamente richiesto in tal caso l’estinzione del procedimento. Se non viene presentata opposizione entro il termine previsto, il giudice d’origine dichiara esecutiva nello stato membro d’origine l’ingiunzione di pagamento europea, che potrà essere riconosciuta ed eseguita negli altri stati membri senza che sia necessaria una dichiarazione di esecutività e senza che sia possibile opporsi al suo riconoscimento. Da segnalare, infine, che il regolamento europeo non prevede ipotesi al ricorrere delle quali possa essere concessa l’esecuzione provvisoria del decreto (possibilità prevista invece dalle norme di procedura italiane).
Titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati (Regolamento CE 805/2004 del 21 aprile 2004)
E’ uno strumento che consente la libera circolazione delle decisioni giudiziarie, delle transazioni giudiziarie e degli atti pubblici tra gli stati membri dell’Unione Europea senza che siano necessari, nello stato membro dell’esecuzione, procedimenti intermedi per il riconoscimento e l’esecuzione. Affinché ciò sia possibile però è necessario che tali decisioni, transazioni o atti pubblici siano relativi a crediti non contestati. In base al regolamento, un credito si considera tale (ossia, non contestato) se: a) il debitore l’ha espressamente riconosciuto mediante una dichiarazione o transazione approvata dal giudice o conclusa dinanzi al giudice nel corso di un procedimento giudiziario; o b) il debitore non l’ha mai contestato nel corso del procedimento giudiziario; o c) il debitore non è comparso o non si è fatto rappresentare in un’udienza relativa a un determinato credito pur avendo contestato inizialmente il credito stesso nel corso del procedimento; o d) il debitore l’ha espressamente riconosciuto in un atto pubblico.
Procedura per l’ordinanza europea di sequestro conservativo su conto corrente bancario (Regolamento CE n. 655/2014 del 15 maggio 2014)
Si tratta di una procedura volta a facilitare il recupero transfrontaliero dei crediti in materia civile e commerciale attraverso un mezzo efficace che consente al creditore, al sussistere di determinate condizioni (indicate di seguito), di impedire il trasferimento o il prelievo delle somme detenute dal debitore sul proprio conto corrente, tutelandosi così dal rischio di compromettere la successiva esecuzione del credito vantato. La procedura può essere avviata non solo quando il creditore ha già ottenuto una decisione giudiziaria nei confronti del debitore, ma anche prima che sia avviato il procedimento di merito contro il debitore (in tal caso, comunque il creditore dovrà avviare il relativo procedimento di merito in tempi stretti). I presupposti per presentare la domanda ed ottenere l’emissione dell’ordinanza di sequestro conservativo europeo sono piuttosto rigorosi e devono coesistere, nello specifico: i) il creditore deve presentare prove sufficienti per convincere l’autorità giudiziaria dell’urgente necessità di una misura cautelare sotto forma di ordinanza di sequestro conservativo europeo in quanto sussiste il rischio concreto che, senza tale misura, la successiva esecuzione del credito vantato dal creditore nei confronti del debitore sia compromessa (c.d. periculum in mora); ii) inoltre, laddove il creditore non abbia già ottenuto una decisione giudiziaria, una transazione giudiziaria o un atto pubblico che impongano al debitore di pagare il credito, il creditore deve presentare prove sufficienti per convincere l’autorità giudiziaria che la sua domanda relativa al credito vantato nei confronti del debitore sarà verosimilmente accolta nel merito (c.d. fumus boni iuris). Peculiarità importanti di tale procedura sono la tempestività con la quale l’autorità esamina la richiesta e l’effetto sorpresa nei confronti del debitore, il quale non viene informato né sentito prima dell’emissione dell’ordinanza, ma solo dopo 3 giorni dall’attuazione del sequestro conservativo del conto corrente.
Procedimento europeo per le controversie di modesta entità (Regolamento CE 861/2007 dell’11 luglio 2007, come successivamente modificato)
Tale procedura costituisce una valida alternativa ai procedimenti nazionali, ma con il limite che può trovare applicazione nelle controversie il cui valore (esclusi gli interessi, i diritti e le spese) non ecceda l’importo di € 5.000,00. Per avviare il procedimento non è necessaria l’assistenza di un avvocato, la domanda si propone compilando un apposito modulo (allegato al regolamento) che dovrà essere inviato all’organo giurisdizionale competente, unitamente ai documenti giustificativi pertinenti; entro 14 giorni dal ricevimento del modulo, il tribunale deve notificarne una copia al convenuto, il quale, se intende difendersi, dovrà compilare il relativo modulo di replica entro 30 giorni e la controversia dovrebbe trovare soluzione in tempi più rapidi, rispetto ad un giudizio ordinario. La sentenza emessa al termine del procedimento è riconosciuta ed esecutiva negli altri paesi dell'UE e non è opponibile (a meno che non presenti incongruenze rispetto ad una sentenza esistente in un altro paese europeo tra le stesse parti).
Conclusioni
Il presente articolo intende fornire alle aziende che operano e vendono all’estero un quadro generale circa le possibili soluzioni e gli strumenti che possono essere messi in atto quando si trovano a dover affrontare questioni relative al recupero crediti: analizzando, da un lato, come evitare o minimizzare i rischi di mancati pagamenti, attraverso la previsione di determinate clausole contrattuali; e, dall’altro, come procedere in maniera efficace per recuperare il proprio credito.
Il nostro studio è a disposizione per assistere le imprese nelle valutazioni e strategie da adottare nell’affrontare le suddette questioni, prestando la propria consulenza nella predisposizione delle opportune clausole contrattuali sopra indicate, così come nell’assistere le imprese nelle azioni giudiziali da avviare nei confronti dei rispettivi debitori, e ciò anche quando sia necessario eseguire il titolo ottenuto al di fuori dell’Italia, grazie alla fitta rete di contatti con corrispondenti legali all’estero di cui dispone lo studio.
Avv. Arianna Ruggieri