ITALIA: Contratti di franchising e durata minima di 3 anni
Silvia Bortolotti
Redattore
La Cassazione italiana ha finalmente confermato un importante principio, già espresso in precedenza da alcuni giudici di merito, che pone rimedio ad un probabile errore commesso in sede di approvazione della legge 129 del 2004 (legge italiana sul franchising).
L’art. 3.3 della legge 129/2004 dispone che il contratto di franchising debba avere una durata minima di 3 anni, allo scopo di consentire al franchisee di ammortizzare l’investimento effettuato; tale previsione però è riferita unicamente all’ipotesi di contratto concluso a tempo determinato.
La norma infatti prevede:
«Qualora il contratto sia a tempo determinato, l'affiliante dovrà comunque garantire all'affiliato una durata minima sufficiente all'ammortamento dell'investimento e comunque non inferiore a tre anni. E' fatta salva l'ipotesi di risoluzione anticipata per inadempienza di una delle parti.»
Sin da subito sono state sollevate perplessità da parte della dottrina. Infatti, se lo scopo della norma è quello di tutelare il franchisee, garantendogli un periodo di tempo minimo per ammortizzare il suo investimento, non si comprende per quale ragione un franchisee che abbia stipulato un contratto a tempo indeterminato non dovrebbe beneficiare della medesima tutela.
Se è vero infatti che nella prassi la maggior parte dei contratti di franchising vengono stipulati a tempo determinato (e rientrano quindi nella tutela prevista dal legislatore), vi sono anche contratti conclusi a tempo indeterminato e comunque, come detto sopra, non si comprende la ratio di tale differenziazione.
In tali circostanze, alcuni giudici di merito si sono espressi nel senso di ritenere tale principio applicabile anche al contratto concluso a tempo indeterminato. In particolare, la Corte d’Appello di Milano (con sentenza n. 749 del 10/3/2020) si è pronunciata in favore di tale estensione, giustificando tale scelta con lo scopo di evitare che i franchisors possano optare per una durata indeterminata per eludere la protezione riconosciuta dalla norma agli affiliati e, nel contempo, evitare una disparità di trattamento tra franchisees; nel caso in esame, la Corte ha pertanto condannato il franchisor, che era receduto dal contratto prima della fine del triennio senza giustificato motivo, a risarcire il danno al franchisee.
Successivamente sempre la Corte d’Appello di Milano (sentenza n. 3528 del 3/12/2021) nell’ambito di un contratto a tempo indeterminato, a fronte di un recesso del franchisor avvenuto con 90 giorni di preavviso in conformità al contratto, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva ritenuto il recesso illegittimo per violazione dei principi di correttezza e buona fede, a fronte degli investimenti effettuati dal franchisee e delle ulteriori conseguenze negative che il recesso gli aveva causato. In particolare, la Corte d’appello sul punto ha affermato che:
«Se, quindi, il legislatore ha ritenuto che il minimo dato temporale dei tre anni fosse necessario al fine dell’ammortamento degli investimenti specifici nel contratto di franchising a tempo determinato, ciò significa che nel rapporto di affiliazione a tempo indeterminato – dove vi è una presunzione di maggiore durata del rapporto contrattuale – deve poter essere tenuto fermo un congruo dato temporale non solo al fine dell’ammortamento, ma anche al fine di garantire la fisiologica redditività di una qualsiasi attività imprenditoriale».
In tale contesto è intervenuta finalmente la Corte di Cassazione, con sentenza n. 11737 del 2/5/2024, la quale, in sede di impugnazione della sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 749/2020 sopra citata, ha confermato la decisione della Corte di merito sul punto, ribadendo che:
«(..) come nel franchising a tempo determinato, anche nel caso di contratto di franchising a tempo indeterminato, quale appunto quello oggetto di causa, risulta contrario a buona fede, ed in ultima analisi abusivo ed arbitrario, il recesso dell'affiliante prima del decorso della durata minima di almeno tre anni, dato che questo periodo costituisce il lasso di tempo minimo sufficiente all'ammortamento dell'investimento da parte dell'affiliato.»
La Suprema Corte quindi, tramite l’applicazione del principio generale di buona fede e correttezza applicabile a tutti i contratti, ha finalmente colmato una lacuna della legge 129/2004, con un’interpretazione che appare del tutto ragionevole, in considerazione della ratio della norma, oltre che dal punto di vista dell’equità.
Avv. Silvia Bortolotti