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  • 21 lug
  • 2021

Carenza materie prime ed aumento dei prezzi: l’impatto sui contratti in corso

L’attuale carenza e difficoltà di reperimento delle materie prime e della componentistica ed il notevole aumento dei prezzi delle stesse stanno causando gravi problemi alle aziende, rallentando la ripresa in un momento già molto difficile.

In particolare, la difficoltà di approvvigionamento delle materie prime e della componentistica, può porre l’azienda venditrice nell’impossibilità di eseguire la consegna nei termini contrattualmente pattuiti ed il conseguente ritardo nella consegna dei prodotti ai suoi clienti/compratori.

 

1. Ritardi di consegna determinati da difficoltà di approvvigionamento di materie prime o componenti

Nell’affrontare tale situazione, sotto il profilo giuridico, occorrerà innanzitutto verificare se il contratto concluso con il proprio cliente contenga una clausola che esoneri da responsabilità il venditore (o quantomeno limiti la sua responsabilità) per l’ipotesi di ritardo nella consegna delle merce; oppure se il contratto contenga ad esempio una clausola di “forza maggiore”, che consideri l’eventuale ritardo/difficoltà nella consegna di componenti o materie prime da parte dei fornitori del venditore quale evento di “forza maggiore”, consentendo a quest’ultimo di protrarre i tempi di consegna dei prodotti per una durata pari al permanere di tale circostanza, senza incorrere in responsabilità.

In assenza di clausole del genere, sarà necessario far riferimento alla legge applicabile al contratto a seconda delle specifiche circostanze: in molti casi di vendita internazionale tra venditore italiano ed acquirente straniero, potrà risultare applicabile la Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale del 1980 (Convenzione CISG), che contiene una disposizione specifica (art. 79) sull’esonero da responsabilità; ove si tratti di contratto interno italiano (ad esempio, tra venditore ed acquirente entrambi italiani), sarà applicabile la normativa interna italiana - nello specifico gli articoli 1218 e 1256 del codice civile sull’impossibilità della prestazione. Sulla base delle specifiche norme applicabili, si dovrà quindi valutare se la difficoltà di reperimento delle materie prime (o dei componenti), che ha determinato il ritardo del venditore nella consegna dei prodotti ai suoi clienti, possa essere considerata quale evento straordinario, imprevedibile e non imputabile al venditore, tale da esonerarlo da responsabilità per il suo inadempimento.

Ove non sia possibile escludere o limitare la responsabilità del venditore nei termini sopra indicati, sarà importante per quest’ultimo valutare con attenzione le conseguenze del suo ritardo/inadempimento, nonché l’eventuale applicazione di penali da ritardo, risarcimento del danno, risoluzione del contratto, ecc..

 

2. Ingenti incrementi dei prezzi delle materie prime e/o componenti

Altrettanto grave e seria è la questione del notevole aumento dei prezzi delle materie prime e della componentistica, che in certi casi hanno subito rincari esorbitanti (ad esempio, il prezzo degli acciai è aumentato del 100%, quello delle plastiche di oltre l’80%).

In tali circostanze, in linea di principio, la prestazione non sarà resa impossibile né impedita: potrà comunque essere eseguita, ma con costi molto più elevati per il venditore. Tuttavia, non può essere escluso a priori che, in casi veramente eccezionali (ove appunto gli aumenti del prezzo siano tali da rendere praticamente impossibile la prestazione), la parte possa validamente invocare la forza maggiore, onde essere esonerata da responsabilità per l’inadempimento.

Anche in questo caso, occorre in primo luogo verificare se il contratto di compravendita concluso con il cliente contenga ad esempio una “clausola di revisione prezzi”, che preveda un incremento automatico del prezzo del prodotto al ricorre di aumenti di prezzo delle materie prime (o dei componenti) o che consenta al venditore di rinegoziare le condizioni contrattuali (ed in particolare, il prezzo finale del prodotto) in considerazione dell’aumento dei costi delle materie prime necessarie per la produzione dello stesso.

In alternativa, potrebbe essere stata prevista una clausola di “hardship”, in virtù della quale l’incremento dei costi delle materie prime sia considerato un evento al di fuori del controllo della parte venditrice tale da rendere la sua prestazione eccessivamente onerosa, che il venditore possa validamente invocare per ottenere la rinegoziazione dei termini contrattuali. In proposito, si segnala la clausola Hardship elaborata dalla Camera di Commercio Internazionale (ICC) nella versione aggiornata del 2020. Se così fosse, il venditore potrebbe raggiungere soluzioni di compromesso con il compratore in modo da “ripartire” con il proprio partner commerciale la eccessiva onerosità sopravvenuta della sua prestazione.

Anche in questa ipotesi (così come abbiamo visto supra, per il caso di carenza delle materie prime), in assenza delle predette clausole, le opportune valutazioni, per verificare se vi siano forme di tutela utili per il venditore/fabbricante/esportatore, dovranno essere compiute sulla base della legge applicabile al contratto (ad esempio, la Convenzione CISG, il codice civile italiano ecc.), inclusi i principi generali del diritto internazionale (c.d. lex mercatoria) o i principi Unidroit dei Contratti Commerciali Internazionali, laddove richiamati.

Sul punto, va detto che la questione dell’eccessiva onerosità sopravvenuta non è disciplinata dalla CISG. Per le ipotesi di contratti interni o quando comunque risulti applicabile la legge italiana, si potrà far riferimento agli articoli 1467 e 1664 del codice civile, i quali trattano dell’eccessiva onerosità sopravvenuta con riferimento, rispettivamente, ai contratti ad esecuzione continuata, periodica o differita (il primo) ed ai contratti di appalto privato (il secondo). Quest’ultimo in particolare potrebbe assumere rilievo per i casi in cui il contratto, avendo ad oggetto la realizzazione di un prodotto complesso sulla base di specifiche tecniche ricevute dal cliente e quindi sensibilmente diverso dal prodotto standard del fabbricante (si pensi ad esempio alla fornitura di un impianto complesso), sia qualificato come appalto piuttosto che vendita, in base al diritto interno italiano.

Tuttavia, va altresì tenuto presente che non sempre i rimedi offerti da tali articoli rappresentano una soluzione conveniente per il venditore/fabbricante. In effetti, in base a quanto previsto dall’art. 1467 c.c., il rimedio della rinegoziazione del contratto non è direttamente utilizzabile dalla parte svantaggiata (nel caso di specie, il venditore) la quale può solo richiedere la risoluzione del contratto; tale risoluzione potrà essere evitata solo se la controparte (quindi, il compratore) offre di rinegoziare le condizioni contrattuali. Invece, l’art. 1664 sull’appalto, consente di procedere ad una revisione del prezzo, solo se l’incidenza sul prezzo di vendita sia uguale o superiore al 10% e la revisione potrà essere concessa solo per quella differenza che eccede il 10%.

 

3. Conclusioni

In conclusione, alla luce delle considerazioni che precedono, per il venditore/esportatore che si trovi a dover gestire tali problematiche sarà opportuno mettere a punto delle strategie che possano portare ad una rinegoziazione delle clausole contrattuali. In proposito, segnaliamo che il nostro studio, esperto in contrattualistica interna ed internazionale, è disponibile a fornire la propria assistenza legale.

 

Avv. Silvia Bortolotti

Avv. Arianna Ruggieri