Agenti residenti o aventi sede in Italia, ma operanti all’estero: sussiste l’obbligo di iscrizione all’Enasarco?
Avv. Arianna Ruggieri
Redattore
Come noto, in Italia sussiste in capo alla ditta preponente l’obbligo di iscrizione e contribuzione all’Enasarco. Tale obbligo è contenuto e previsto non solo e non tanto negli Accordi Economici e Collettivi, ma anche nella Legge n. 12/1973, e la disciplina del relativo trattamento è contenuta nel Regolamento Istituzionale Enasarco, che ha subito diverse modifiche nel corso degli anni (la versione attuale è il Regolamento Enasarco in vigore dal 1.1.2012).
E’ pacifica l’applicazione dell’obbligo ai rapporti di agenzia nazionali, ossia che rimangono all’interno dei confini nazionali, c.d. Italia su Italia (preponente italiano e agente italiano che opera in Italia). Tuttavia, la questione si complica quando il rapporto di agenzia è caratterizzato da profili di internazionalità: ad esempio, quando l’agente ha residenza o sede in Italia, ma opera all’estero. Negli ultimi tempi diverse sentenze si sono espresse in merito alla questione dell’obbligo (o meno) di iscrizione all’Enasarco per tali agenti.
Prima di soffermarsi sugli orientamenti giurisprudenziali, può essere utile un breve riepilogo delle norme ed interpretazioni che si sono succedute nel tempo sulla questione.
In primis, la Legge 2 febbraio 1973, n. 12, tutt’ora in vigore, che all’art. 5 prevede che “Sono obbligatoriamente iscritti al Fondo di previdenza dell'ENASARCO tutti gli agenti ed i rappresentanti di commercio che operano sul territorio nazionale in nome e per conto di preponenti italiani o di preponenti stranieri che abbiano la sede o una qualsiasi dipendenza in Italia; sono altresì obbligatoriamente iscritti all'ENASARCO gli agenti ed i rappresentanti di commercio italiani che operano all'estero nell'interesse di preponenti italiani.”
Il Regolamento Istituzionale Enasarco, già nella versione del 2004, ha ristretto l’ambito di operatività dell’obbligo contributivo, eliminando di fatto la disposizione che prevedeva l’obbligo di versamento di contributi per gli agenti italiani che operano all’estero.
Vi sono poi i Regolamenti europei relativi al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale applicabili ai lavoratori dipendenti e autonomi: il regolamento 883/2004/CE ed il relativo regolamento applicativo 987/2009/CE. Il primo prevede che la persona che esercita parte sostanziale della sua attività in uno o più stati membri sia soggetta (i) alla legislazione dello Stato membro di residenza, se esercita una parte sostanziale della sua attività in tale stato, oppure (ii) alla legislazione dello stato membro in cui si trova il centro di interessi delle sue attività, se non risiede in uno degli stati membri in cui esercita una parte sostanziale delle sue attività. Il secondo regolamento precisa il significato di alcuni dei termini utilizzati nel primo, in particolare: specifica cosa si debba intendere per parte sostanziale di un’attività, sottolineando che occorre dar rilievo alla parte quantitativamente sostanziale dell’insieme delle attività del lavoratore subordinato o autonomo, senza che si tratti necessariamente della parte principale di tali attività; indica quali sono i criteri da considerare per stabilire se una determinata attività sia svolta in un dato Stato membro (individuando quali fattori rilevanti per l’attività autonoma il fatturato, l’orario di lavoro, il numero di servizi prestati e/o il reddito); indica qual è la quota al di sotto della quale si può affermare che una parte sostanziale delle attività non è svolta nello Stato membro in questione (individuandola al di sotto del 25%); e precisa cosa debba intendersi per centro di interessi (che deve essere determinato prendendo in considerazione tutti gli elementi che compongono le sue attività professionali: luogo in cui si trova la sede fissa, carattere abituale o durata delle attività esercitate, numero dei servizi prestati, ecc.).
Infine, non va tralasciata l’interpretazione fornita dal Ministero del Lavoro con la risposta all’Interpello n. 32 del 19/11/2013. In sintesi, con l’interpello era stato rilevato e sottoposto all’attenzione del Ministero che il testo dell’art. 5 della Legge n. 12/1973 prevedeva l’obbligo di iscrizione all’Enasarco anche per gli agenti ed i rappresentanti di commercio italiani che operano all’estero nell’interesse di preponenti italiani, mentre tale disposizione era (ed è tuttora) assente nell’art. 2 del Regolamento istituzionale Enasarco in vigore, che invece al comma 2, si limita a richiamare l’applicazione delle norme comunitarie. Con la propria risposta il Ministero ha chiarito che la disposizione di legge deve essere interpretata alla luce della successiva normativa dell’Unione Europea, ossia i sopra richiamati regolamenti 883/2004/CE e 987/2009/CE che, come anticipato, forniscono numerosi criteri di collegamento volti ad individuare il trattamento previdenziale applicabile al rapporto di agenzia caratterizzato da profili di internazionalità, ed ha stilato un elenco delle ipotesi in cui il rapporto di agenzia è soggetto all’obbligo di iscrizione Enasarco, includendovi i casi degli agenti che risiedono in Italia e ivi svolgono una parte sostanziale delle loro attività.
Venendo alla casistica, va detto che per lungo tempo l’Enasarco non ha proceduto a far valere l’obbligatorietà dell’iscrizione e quindi a pretendere il relativo versamento di contributi in relazione agli agenti con residenza o sede in Italia, ma operanti all’estero, e/o comunque, nei pochi casi in cui l’ha fatto, la sua domanda (salvo rari casi) non è stata accolta dai giudici. Ciò probabilmente poiché si riteneva che in casi simili l’agente svolgesse parte sostanziale della sua attività nel paese straniero (piuttosto che in Italia).
Tuttavia, negli ultimi tempi l’orientamento giurisprudenziale sembra mutato. Le azioni dell’Enasarco nei confronti di preponenti italiani di agenti residenti ma operanti all’estero, per chiedere il pagamento dei contributi, sono aumentate; e i giudici sembrano orientati a ritenere che sussiste l’obbligo di iscrizione all’Enasarco e conseguenti obblighi contributivi per quegli agenti che hanno sede in Italia, emettono fatture in base alla legge italiana, sono soggetti a trattamento fiscale in Italia, nonostante promuovano affari verso clienti all’estero. In pratica, tali sentenze hanno ritenuto che gli agenti operassero sul territorio nazionale (e quindi dovessero essere iscritti all’Enasarco), semplicemente sulla base del fatto che l’agente fosse iscritto alla Camera di commercio italiana, avesse domicilio o residenza in Italia e producesse fatturato in Italia, senza dare rilievo alla circostanza che l’attività sostanziale e tipica dell’agente, ossia quella di promozione delle vendite, veniva svolta in effetti all’estero (avendo l’agente procurato contratti con clienti stranieri).
Avv. Arianna Ruggieri