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  • 10 gen
  • 2019

Abuso di dipendenza economica in relazione al contratto di franchising

Com’è noto, l’art. 9 della legge 192 del 1998 sulla subfornitura disciplina l’abuso di dipendenza economica nei termini seguenti:

Abuso di dipendenza economica

1. È vietato l'abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice. Si considera dipendenza economica la situazione in cui un'impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un'altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subito l'abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti.

2. L'abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto.

3. Il patto attraverso il quale si realizzi l'abuso di dipendenza economica è nullo.

Per valutare se ricorra tale fattispecie, i giudici quindi devono accertare, in primo luogo, l’esistenza di una “dipendenza economica” tra due imprese – ossia che una di esse si trovi in una situazione tale da determinare un eccessivo squilibrio di diritti e obblighi nei rapporti commerciali con l’altra e tipicamente (come anche espressamente previsto dalla norma) che l’altra impresa non abbia una concreta possibilità di trovare alternative soddisfacenti sul mercato.

Una volta accertata l’esistenza di una situazione di dipendenza economica, i giudici dovranno poi verificare se l’impresa “forte” abbia commesso un “abuso”, anche valutando le circostanze menzionate dalla norma (rifiuto di vendere, rifiuto di comprare, imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto).

La conseguenza dell’abuso consiste, sempre secondo l’art. 9, l.192/1998, nella nullità della clausola contrattuale attraverso la quale si sia realizzato l’abuso (con possibile conseguente risarcimento del danno, ove provato). 

La giurisprudenza italiana, pur riconoscendo in linea teorica – salvo alcune eccezioni - l’applicazione dell’art. 9 l. 192/1998 anche a contratti diversi dalla subfornitura (ed in particolare a contratti di franchising), per quanto a nostra conoscenza, ha però sempre rigettato nel merito le relative domande proposte dai franchisees, da un lato negando l’esistenza di una posizione di dipendenza economica (tipicamente, infatti, il franchisee ha concrete possibilità di trovare alternative soddisfacenti sul mercato, rispetto al franchisor) e dall’altro, non ravvisando gli estremi dell’abuso, nei termini indicati nella norma.

In questo senso, di recente, si sono espressi App. Roma, Sez. III, 1/3/2018; Trib. Monza, 4/7/2017; Trib. Torino, 9/5/2017; Trib. Roma, sez. VIII, 1/4/2017; Trib. Bologna, 5/10/2016; App. Milano, 15/7/2015.

Sul punto, occorre precisare che le domande proposte dai legali dei franchisees a tale riguardo nella maggior parte dei casi non solo risultano infondate, ma anche spesso proposte in maniera confusa: in particolare, l’abuso di dipendenza economica viene spesso confuso con “l’abuso di posizione dominante” (che rileva sotto il profilo antitrust ed è basato su presupposti totalmente diversi), e vi si aggiunge anche spesso l’ulteriore domanda – anch’essa quasi sempre infondata e non supportata da alcuna prova - di “abuso del diritto”.

Con questo articolo, intendiamo commentare specificamente una sentenza (Trib. Milano, sez. imprese, del 06/12/2017), poiché essa - pur non discostandosi a nostro avviso dall’orientamento sopra menzionato - è stata erroneamente interpretata da alcuni commentatori su riviste giuridiche italiane, come un caso di applicazione dell’abuso di dipendenza economica al contratto di franchising. 

Nella specie, la controversia riguardava un contratto di franchising tra la Vodafone Italia S.p.A. e la società Next Mind S.r.l.

Per quanto si comprende dal testo della sentenza circa i fatti di causa, la società Next Mind S.r.l. (franchisee) era receduta dal contratto con la Vodafone (franchisor) il 31/3/2014, concedendo un preavviso di tre mesi, come previsto dal contratto.

Successivamente, il franchisee proponeva azione davanti al Tribunale di Milano, lamentando svariati inadempimenti di Vodafone verificatisi nel corso del rapporto, ma soprattutto durante il periodo di preavviso, consistenti in particolare:

- nel mancato pagamento di ingenti somme a lei spettanti;

- nel blocco del sistema informatico dall’aprile 2014, impedendo al franchisee di erogare i servizi durante l'ultima fase del rapporto (la scadenza del preavviso essendo alla fine di giugno);

- nella ritardata restituzione della polizza fideiussoria (avvenuta nel gennaio 2015), originariamente versata dal franchisee, pari ad € 1.120,00.

Sulla base di tali circostanze, il franchisee agiva davanti alla sezione specializzata in materia di imprese del Tribunale di Milano (competente solo in quanto una delle domande era di “abuso di posizione dominante”, ossia in materia antitrust), chiedendo il risarcimento del suo preteso danno, quantificato in € 52.000,00, attribuendo al franchisor:

- abuso di posizione dominante;

- violazione degli obblighi di informazione precontrattuale; e

- dolo negoziale.

Vodafone si costituiva nel giudizio, eccependo alcuni inadempimenti di Next Mind che avrebbero, a suo giudizio, giustificato il blocco del sistema informatico ed il ritardato pagamento delle somme spettanti al franchisee. 

Il Tribunale, sulla base di una valutazione dettagliata delle circostanze e delle prove, concludeva che Vodafone avesse gravemente violato il contratto, in particolare mediante il blocco del sistema informatico al franchisee durante il periodo di preavviso, e che tutte le eccezioni proposte dal franchisor a giustificazione del proprio inadempimento non fossero accogliibili.

Condannava quindi il franchisor ad un risarcimento del danno in favore del franchisee, quantificato equitativamente in € 15.000,00. 

Parrebbe quindi un giudizio (tra i tanti) di risarcimento del danno conseguente ad una violazione contrattuale, a prescindere dal fatto che l’attore abbia erroneamente configurato il titolo posto alla base della domanda di risarcimento come “abuso di posizione dominante”.

Tuttavia, il Tribunale di Milano, come sopra accennato, affronta la questione dell’abuso di dipendenza economica (anche se solo in termini generali, come obiter dictum), inducendo alcuni commentatori a dichiarare (erroneamente) che si tratti di un caso di abuso da parte del franchisor. 

Occorre quindi ripercorrere il ragionamento seguito dal Tribunale sul punto, al fine di fugare ogni dubbio interpretativo.

Il Tribunale in primo luogo rileva (correttamente) l’erroneità ed infondatezza della domanda proposta come “abuso di posizione dominante”, in assenza di qualsivoglia elemento introdotto dal franchisee a supporto della stessa (in termini di mercato rilevante ed altri profili antitrust eventualmente rilevanti).

Successivamente, il Tribunale reinterpreta la domanda del franchisee come di “abuso di dipendenza economica” (nonostante questi non avesse neppure menzionato tale fattispecie, né l’art. 9 l. 192/1998) e dichiara - in termini generali – l’abuso di dipendenza economica applicabile anche a contratti diversi dalla subfornitura ed, in particolare, al contratto di franchising.

Tuttavia, nel merito, il Tribunale rigetta la domanda di abuso di dipendenza economica (e quella conseguente di danni) per mancanza di prova, condannando invece Vodafone per violazione ed inadempimento contrattuale. 

Appare quindi confermato l’orientamento seguito finora dalla giurisprudenza italiana, che sebbene in termini astratti ritenga applicabile l’abuso di dipendenza economica ai contratti di franchising, nel merito finisce per escluderne l’applicazione, rilevando l’assenza delle condizioni previste dalla norma di legge.

 

Avv. Silvia Bortolotti